Di Anastasya Anastasi.Viviamo nella cosiddetta epoca moderna, ma di moderno c’è ben poco. Le donne sono da sempre pagate meno dei loro colleghi maschi e l’ambiente sportivo non fa eccezione. La percentuale di atlete femmine è molto più bassa di quella maschile ma le vittorie sono in controtendenza.
In Italia, ancora svariati sport sono definiti “da maschi”. Sport come il calcio, la boxe, lo sci non sono considerati adatti al “sesso debole” perché discipline caratterizzate da forza e contatto fisico. Ne è la conferma l’introduzione sempre ritardataria della sezione femminile dopo la nascita della disciplina. È una visione radicata nella cultura. Quella famosa ideologia che definisce l’uomo forte, competitivo ed attivo e la donna debole, remissiva e passiva. Se poi consideriamo anche come i media raccontano le stesse atlete. Si può affermare che il connubio tra sport e donne e stereotipi sessisti sia ancora fortissimo. Viene sempre data un’immagine restrittiva e riduttiva, si guarda solo alla bellezza e al look ponendo così volutamente i meriti sportivi e i risultati in secondo piano. Moltissime donne che praticano sport vengono definite mascoline e poco femminili. Vengono considerate inferiori e meno capaci degli uomini. Sono accusate di essere artefici di uno spettacolo meno divertente e non degno di grande interesse. Tutto ciò sfocia in una scarsa visibilità, proprio rispetto a sport ancora predominati dal maschile, meno spettatori e tifosi, professionalità non riconosciuta alla pari e così si riduce lo spazio dedicato alle atlete dalla stampa nonostante le vittorie e i successi sportivi. Le disuguaglianze continuano anche sul piano legislativo che impone alle sportive il dilettantismo senza il riconoscimento di diritti di base. Completamente assenti sono la tutela sanitaria, le garanzie a fini pensionistici e assenza di tutela per i rischi assicurativi.
Tutte queste discriminazioni e disuguaglianze devono sparire. Il cambiamento deve partire dai piani alti, dal ministro dello sport, le federazioni, le società, il CONI. Le atlete si stanno già battendo da troppo tempo. Basta far finta di non vedere, basta rimanere nell’ignoranza che ci circonda. Lo sport è unisex.