Articolo di Daniele Annibali. Eccolo qui. Con ben 91 anni sulle spalle, Clint Eastwood ci presenta il suo ultimo prodotto da regista e interprete. Stiamo parlando di “Cry Macho”, un film che descrive, con molta semplicità e dolcezza, un viaggio crepuscolare di vita, fatto di rapporti, sentimenti e desideri. È tratto dall’omonimo romanzo scritto nel 1975 da Richard Nash.

Eastwood riprende le caratteristiche del cinema western /“on the road” e le riadatta nella nostra contemporaneità. Con questa formula, egli rende omaggio a sé stesso, mostrando delle inquadrature che descrivono un certo tipo di poetica “conclusiva” di un uomo che ha dato tutto per la settima arte.

Purtroppo, non è tutto oro quello che luccica. Nonostante un incipit semplice e pieno di potenzialità, Cry Macho non riesce ad incidere nella mente dello spettatore in modo eccessivo. Questo è dovuto principalmente da alcuni fattori: – Dialoghi poco efficaci e superficiali – Narrazione blanda, poco penetrante e, in alcuni tratti, confusa – Eastwood che, nel ruolo da protagonista, non riesce a camuffare del tutto i suoi limiti fisici – Un finale che, aimè, dice tutto e che non dice niente.

Malgrado tutto questo, ciò che rende speciale Cry Macho è un tentativo di autorialità. Eastwood, in quanto autore, esalta una figura di sé sulla via del tramonto, ma nello stesso tempo, mette in evidenza un’anima umana “immortale”, indimenticabile e intramontabile. Ce lo ha già dimostrato in precedenza con alcuni dei suoi capolavori, come “Gli spietati” (1992) o “Gran Torino” (2008). Ad oggi, Clint Eastwood rappresenta la vera essenza del cinema, e in quanto tale, con il passare degli anni, non tramonterà mai.

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