Di Aurora Baldoni. “Le vostre donne sono come un campo per voi, venite dunque al vostro campo a vostro piacere”, recita un versetto del Corano.

Il versetto è composto da diciassette parole.

Diciassette parole dalle quali è possibile evincere un grave problema: una concezione religiosa responsabile di un “femminicidio” permanente nei confronti della libertà e della vita delle donne.

Donne vittime di padri e mariti padroni, donne schiave di estremismi islamici. Donne madri di quelle figlie che a loro volta diventeranno vittime.

Ma cosa accade quando queste donne, avvicinandosi alla cultura occidentale, si ribellano agli usi tradizionali d’origine per rivendicare il loro diritto alla libertà?

In gran parte dei casi scatenano l’ira dei propri famigliari, per non aver rispettato la loro posizione di sottomissione.

Famiglie che considerano i comportamenti di ribellione delle figlie non in linea con l’islamismo radicale, che vanno ad intaccare l’onore della famiglia stessa.

Onore che necessita di essere difeso, a tutti i costi e perciò conduce all’esecuzione di atteggiamenti violenti, i quali possono sfociare, nei casi più estremi, in femminicidi.

Molte sono le ragazze musulmane che giunte in Italia, hanno pagato con la loro vita la colpa di uniformarsi ai costumi occidentali.

Ricordiamo Hina Saleem, uccisa dai parenti per essersi fidanzata con un italiano non mussulmano,

Sana Cheema, uccisa per aver rifiutato nozze combinate, Sanaa Dafani, uccisa dal padre perché conviveva con un ragazzo italiano ed infine il giallo ancora in atto sulla scomparsa della pakistana Saman Abbas.

Nella società occidentale, l’abolizione completa della diversità dei ruoli non è pienamente garantita ma non è possibile accettare il maschilismo assoluto ed il non rispetto della figura femminile.

Gli uomini islamici immigrati sebbene possano nella cultura mussulmana, rivestire un ruolo guida devono comunque esercitarlo, senza violare l’essere femminile, nel rispetto delle leggi del paese che li accolgono.