Di Daniele Annibali .Gianni Canova, all’inizio di un suo articolo pubblicato sul sito Welovecinema, cita le seguenti parole: “A cosa serve il cinema? A niente. Però distrae. Da cosa? Dalla realtà. Perché la realtà è scadente…”. È una frase tratta da “E’ stata la mano di Dio” di Paolo Sorrentino, film uscito in sala dal 24 novembre e disponibile su Netflix dal 15 dicembre. Si sa, il cinema non ha mai mostrato la mera rappresentazione della realtà, anzi, è nato principalmente con lo scopo di attrarre lo spettatore per “distrarlo” dalla sua quotidianità.

Il cinema può essere distrazione, immedesimazione, testimonianza. E Sorrentino, con questa opera, ci testimonia la sua vita vissuta con gli occhi di Fabietto (Filippo Scotti), un personaggio che raffigura il suo lato biografico. La narrazione mette in evidenza delle figure prese direttamente dalla “realtà” sorrentiniana e affida ad ognuno di esse un nome immaginario. Gli unici personaggi con nomi “veri” sono esattamente quelli che hanno segnato, in modi diversi, la vita dello stesso Sorrentino, come Fellini, Maradona o Capuano. È stata la mano di Dio è, quindi, un film che mostra una realtà immaginaria. Ciò che è falso è reale, e ciò che è reale è falso. In queste parole ci potremmo ricollegare ad un discorso già affrontato da Fellini con “Amarcord” (1973), opera anch’essa “autobiografica”, che mescola di continuo la realtà con l’immaginazione.

Il film è composto da un cast eccezionale: Toni Servillo (nel ruolo del padre di Fabietto), Teresa Saponangelo (nel ruolo della madre), Massimiliano Gallo, Luisa Raineri, Renato Carpentieri e Enzo Decaro.

Insomma, È stata la mano di Dio è un film imperdibile. Ha vinto il Gran premio della giuria alla 78° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia ed è stato candidato, dalla nostra nazione, alla categoria “miglior film internazionale” agli Oscar 2022. Sorrentino, in sostanza, ha raggiunto uno dei punti più alti della sua carriera cinematografica, dimostrando di essere un regista caparbio, sincero, con “un dolore da riscattare e un qualcosa da raccontare” (cit. Gianni Canova

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