Di Nicoletta Carli. Stare male. Divorare eccessive quantità di cibo, pensando di poter stare meglio. Da soli, per la paura e la vergogna di un giudizio, che sicuramente arriverebbe. Poi sentirsi in colpa, stringere la cinghia fin quasi a non mangiare più, per paura di trasformare il proprio corpo in qualcosa da cui non ci sentiremmo più rappresentati. Fallire, abbuffarsi di nuovo. Ogni fase è una sbarra, che compone la gabbia del binge eating disorder.
“Quel senso di inadeguatezza, il sentirmi così ingombrante e mai abbastanza forte in ogni situazione. Si è trasformato in una prigione, che io credevo fosse controllo, ma era qualcos’altro a controllare me. Si chiamava anoressia, poi binge eating…”. Le parole pubblicate da un’associazione e centro di cura dei disturbi del comportamento alimentare, con le quali una persona che soffre si racconta. Non si parla di malattia, si tratta di peso. Ma non quello inteso in chilogrammi e misurabile. Un peso enorme che ha sembianze di gabbia. Che si attacca alle caviglie e ti trascina, in fondo, ancora più giù. Vivono in questa gabbia e sprofondano ogni giorno migliaia e migliaia di persone, che soffrono di disturbi alimentari. In particolare in binge eating disorder, detto anche disturbo da alimentazione incontrollata, sembra essere il disturbo del comportamento alimentare (DCA) maggiormente diffuso tra i maschi, con una prevalenza stimata al 40%. È un disturbo che consiste in episodi abbastanza ricorrenti di abbuffate. In questo caso l’aspetto fisico e la percezione della propria immagine, non sono il fattore dominante. Nel binge eating disorder si ricorre alle abbuffate perché potrebbero rappresentare una via di fuga, di fronte ad un blocco emotivo e del pensiero provocato da uno stato emotivo, ritenuto intollerabile. Mangiare e mangiare ancora, fino a star male, per sfogare l’anima. Forse per la volontà di rendere concreto e percepibile quel dolore invisibile, che vive e sopravvive nella testa di queste persone ogni giorno. Divorare quantità eccessive di cibo, senza sentire fame, ma avvertendo comunque il bisogno. Fare e vivere tutto questo soli, per vergogna. Per paura che arrivi tra capo e collo quel “ma quanto mangi!?”. Giudizio sterile e vuoto, che prende la forma di un proiettile pronto a colpire. Poi guardarsi allo specchio, percepire ancora quella prigione, senza vederla. Perché quell’abbuffata fa sentire ancora peggio, arrivano i sensi di colpa. Ma al contrario del disturbo bulimico, non ci si libera di tutto il cibo inducendo il rigetto. Il male, con il binge eating disorder, si tiene tutto dentro. Come il più infido nemico, che uccide dall’interno. Le conseguenze per la salute correlate a questo tipo di disturbo possono avere risvolti anche molto gravi, quali disturbi gastrointestinali come perforazione o dilatazione dello stomaco. Ma l’aspetto patologico emotivamente più forte per chi soffre di abbuffate compulsive, è rappresentato proprio dal ritrovarsi con un corpo in sovrappeso che non si riesce proprio ad accettare. Dunque alternare fasi di abbuffate a diete decisamente troppo restrittive, al punto tale da non essere sostenibili, quindi ricadere nelle abbuffate.
I disturbi del comportamento alimentare, seppur invisibili, sono reali. Invadono il benessere psicofisico di un numero di persone ben maggiore di quante ne possiamo immaginare. Un circolo vizioso, che prende le sembianze di un vortice nel quale si è imprigionati. Senza controllo, fino a toccare il fondo.