Di Gabriele Dominici. È mai possibile rimanere indifferenti di fronte alle atrocità della guerra?
Ci si può abituare ai bombardamenti senza più inorridire di fronte alla morte di civili e bambini?
È pensabile che possa esistere una guerra meno drammatica di un’altra?
Certamente no!
Eppure è proprio questo quello che sembra accadere quando passa la notizia che nella striscia di Gaza tra mercoledì sera e giovedì mattina della settimana scorsa ci sono stati nuovi scontri di gruppi armati palestinesi e bombardamenti dell’esercito israeliano.
Mentre in Europa si combatte il conflitto tra Ucraina e Russia, sul quale sono puntati tutti i riflettori, in quel lembo di terra si consuma l’altra guerra, quella che ormai dura da decenni e che sembra non fare più notizia. Un conflitto lungo e irrisolto, nonostante anche il costante coinvolgimento dell’ONU, che nell’immaginario comune è vista quasi come un’assurda normalità.
Già da metà marzo in Medio Oriente una serie di scontri e attacchi terroristici avevano riportato l’attenzione sulle ostilità tra Israele e Palestina, una tensione tra i due che si è inasprita con la concomitanza della Pasqua ebraica e il Ramadan, periodo in cui spesso emergono rivendicazioni territoriali e identitarie.
Lo scontro tra manifestanti palestinesi e polizia israeliana sulla spianata delle moschee a Gerusalemme, dove sarebbero rimasti feriti circa 150 persone, ha dato il via al lancio di numerosi razzi da una parte e bombardamenti dall’altra che non sembrano, per ora, aver causato morti.
Le ragioni che spingono questi paesi a rifiutare qualsiasi negoziato e a rimanere ancorati alle loro posizioni si perdono nella storia e nella memoria comune e si intrecciano tra ragioni religiose, economiche e territoriali.
La guerra nella striscia di Gaza è una guerra dimenticata in cui Israeliani e Palestinesi si contendono il diritto di determinare il proprio destino nello stesso lembo di terra.