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Di Noemi Tripodo .Non è una presa di posizione, ma una volontà imprescindibile dell’uomo. Diventare artefici del proprio destino, una scelta che richiede grande coraggio e amor proprio. Una morte felice, o quanto meno dignitosa, questo è ciò che a gran voce chiedono i portatori di patologie irreversibili, sofferenti nel corpo e nella mente, imprigionati; situazioni che ti spingono al confine della morte lasciando a te la scelta se oltrepassarlo o meno.
È il caso recente di Shanti de Corte, una ragazza di soli 23 anni che nel pieno possesso delle sue facoltà ha scelto l’eutanasia interrompendo il suo percorso di vita sulla terra, a seguito di un trauma che la stava da anni logorando dentro. Sopravvissuta all’attentato terroristico del 2016 in Belgio, Shanti se pur rimasta illesa aveva riportato gravi patologie psichiche; un dolore insopportabile che la spinge a prendere una, se non “la”, decisione più importante che un uomo possa mai prendere. Per chi non vive un trauma come questo, può risultare difficile comprendere a pieno la scelta del fine vita, bisogna però calarsi nel dramma che quelle persone stanno vivendo.
La legalizzazione dell’eutanasia è fondamentale ad oggi, non soltanto perché vivere in uno Stato democratico, libero e giusto implica la possibilità di scegliere autonomamente se e come porre fine alla propria vita, in caso questa non sia più tollerabile; ma si tratta anche dell’esigenza di non infliggersi dolore, oggigiorno eludibile.
Alcuni Stati ci sono riusciti, hanno saputo accogliere le richieste del popolo, rispettando le volontà del singolo cittadino, e le sue scelte anche su un argomento così delicato come quello del porre fine alla propria esistenza. L’Olanda già nel lontano 2002 approvava la legge sull’eutanasia, altri paesi invece, come l’Italia, scelgono di rimanere indietro anni luce sul tema dei diritti civili.
Nel nostro paese è illegale la partica dell’eutanasia e molti nostri concittadini sono stati costretti ad operare metodi illegali per porre fine alla malattia. Un caso italiano che ha smosso le acque è stato quello di Dj Fabo, rimasto tetraplegico a seguito di un incidente, morto tramite suicidio assistito in una clinica svizzera nel 2019. Con il processo e l’assoluzione a Marco Cappato, politico e attivista italiano, per aver aiutato il Dj, si è pensato che una possibile svolta di pensiero potesse essere arrivata anche in Italia. Vane speranze.
Ad oggi l’Italia decide di non prendere posizione in merito ad un tema così importante, non ponendo difatti rimedio ad una voragine legislativa. L’Italia sceglie di non ascoltare la voce di milioni di cittadini, che se pur non colpiti in prima persona si battono per uno dei diritti dell’uomo: il diritto alla morte.