Di Alessandra Di Stefano. Crescenza Guarnieri torna a Roma con “Tutti i miei cari”, spettacolo di Francesca Zanni,
portato in scena nel Teatro le Maschere di Trastevere. Quel che ci si pone davanti, entrando
nella sala buia è un palco, diviso scenicamente in due. A destra, un leggio; a sinistra una
composizione formata da una sedia centrale circondata da alcune transenne, come per
ricreare un tavolo, il tutto adornato con rose rosse. La sedia è lì per rappresentare il luogo
quotidiano in cui viene ambientata la storia, forse una cucina o un soggiorno. Le rose invece
ci trasportano in un mondo sopra le righe. Un mondo che sembra normale, perché gli oggetti
che lo compongono evocano una quotidianità serena, ma in realtà al loro interno celano un
lato oscuro. Tutto a primo impatto può sembrare ordinario: una stanza, una sedia, una
donna. Nel corso dello spettacolo ci si rende conto che nulla lo è. La stanza, è in realtà la
mente della protagonista; le sedie, sono “tutti i suoi cari”; e la donna, non è una classica
donna degli anni ‘50. Questa ha altre aspirazioni e paure. Lei rifiuta il ruolo che la società le
impone, lei non si sente una moglie e a volte odia perfino essere madre. Lei non vuole stare
a casa a cucinare, lei vuole scrivere. Lei è Anne Sexton, che davanti al bivio tra essere una
donna al posto giusto o una poetessa, ha scelto di togliersi la vita.
Le sue opere mostrano malessere continuo ed estremo. Le sue poesie fanno trasparire
quello che molti possono considerare un lato oscuro, ma che per lei era il suo essere sincera
con se stessa e con tutta l’immensità dei suoi pensieri.
Crescenza Guarnieri è stata in grado, nel suo spettacolo, di prendere un flusso di
ragionamenti (molto spesso “sbagliati”) e renderlo fruibile. Ha creato un legame tra una
donna persa e la maggioranza, quella maggioranza in cui Anne non si è mai riconosciuta e
dalla quale non è mai stata accettata. Lei sapeva che le sue riflessioni e i suoi dubbi non
erano comuni e questo ha confermato la sua opinione su se stessa: era una donna sbagliata
e non aveva un posto in questo mondo. Una moglie che tradisce il proprio marito senza
rimpianti, non ha un posto in questo mondo. Una madre che arriva a pensare di uccidere le
sue figlie, non “deve” avere un posto in questo mondo. Ma queste realtà esistono, e devono
essere raccontate. E Crescenza lo ha fatto in modo magistrale. E’ entrata in punta di piedi in
una storia estrema, e ha inquietato gli spettatori. Allo stesso tempo, però, li ha fatti
commuovere, facendoli entrare nella psiche di una donna smarrita. Essere in quel gomitolo
intricato di pensieri torbidi, ci fa comprendere non le ragioni di Anne (perché potrebbe non
averle) ma i suoi processi mentali, o di altre come lei.
Forse Anne non avrebbe mai avuto realmente un suo posto nel mondo, anche se non si
fosse sposata, anche se non le fosse stato impedito di scrivere. Alcune persone sono così,
hanno un turbamento incessante che pulsa così come il loro battito cardiaco, un dolore che
viene da dentro, che non se ne va con nessuno sforzo. Però, la cosa migliore che Anne
potesse fare, l’ha fatta: scrivere. Una personalità del genere deve scrivere, perché il suo
linguaggio e il suo mondo è più schietto e colpisce dritto allo stomaco. Chi legge le sue
poesie può sentirsi turbato, arrabbiarsi e arrivare a schifare l’autrice; ma potrebbe anche
sentirsi meno solo e alleviato rispecchiandosi nelle sue parole. Percepirsi sbagliati porta
all’isolamento; l’isolamento porta ad essere esclusi; l’esclusione, per gli individui più
doloranti, porta al suicidio. Le poesie di Anne, potrebbero evitare tutto questo circo di brutte
emozioni. Leggete le sue poesie, anche se fanno male. Fa più male sentirsi soli con dei
pensieri oscuri.

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