Di Giorgia Rinaldi. Giovani arrabbiati, stanchi, frustrati. Giovani impazienti, incandescenti, disobbedienti. Giovani che trovano il loro modo di urlare per far capire che questo mondo ha bisogno di cambiamenti. In quest’ultimo periodo abbiamo sentito urla disperate, piene di dolore, di rabbia e vendetta. Abbiamo assistito a gesti considerati plateali, poco proficui, spesso irrispettosi e scomodi, ma che esprimono un cambiamento tanto desiderato e non da tutti digerito.  Giovani iraniani che si tagliano una ciocca di capelli per porre fine alla Repubblica islamica, dopo la tragica vicenda di Mahasa Amini, donna di 22 anni morta in carcere dopo essere stata arrestata dalla polizia religiosa per non aver indossato correttamente il velo. Giovani inglesi che scagliano una zuppa di pomodoro contro i girasoli di Van Gogh alla National Gallery di Londra, protestando contro un pacchetto di licenze a favore di maggior estrazione del petrolio. Giovani universitari che si indignano per la retorica del “merito” nel sistema scolastico. Una retorica deteriorata ma ancora attuale, che spinge gli studenti a vivere in uno stato d’ansia costante, nel tentativo di conciliare studio, lavoro e svago. Un merito che viene dato unicamente a studenti e studentesse modello come Carlotta Rossignoli, laureata in medicina a soli 23 anni, senza tener conto delle condizioni di partenza, fattore da sottolineare ed evidenziare a causa del contesto sociale in cui viviamo. Studenti che occupano l’università di Roma “La Sapienza”, per dare un segnale molto più grande dello schieramento politico, ovvero, quello di denunciare lo smantellamento dell’università pubblica negli ultimi anni. Insomma, una serie di proteste che non possono essere messe di certo sullo stesso piano, ma che dovrebbero far pensare e riflettere sulla matrice di questo malcontento generazionale. Davanti queste notizie, i media s’indignano e s’infuriano, scatenando più domande che risposte. Ci si sofferma sulla legittimità di protestare in un determinato modo, spesso con azioni al limite del vandalismo, piuttosto che indagare le cause che portano questi giovani ad azioni estreme. Ci si sofferma a pensare al funzionamento di questi atti di protesta, senza estrapolare l’atto dalla causa. Ci si sofferma in superficie, senza andare nel profondo. Senza capire che questi giovani, anche se per motivi differenti, hanno bisogno di un mondo diverso. Hanno bisogno di cambiare il futuro che li attende, perché fin troppo consapevoli della panoramica attuale imprevedibile e demotivante. Definire se questo modo di protestare sia giusto o sbagliato, non è compito di nessuno di noi, non può esserlo. Perché, in questo caso, non esiste “giusto” o “sbagliato”. Quello che dovremmo fare tutti invece, è domandarsi perché i giovani si affidino a modalità così estreme per essere ascoltati. È necessario interrogarsi sul perché si sia arrivati a quest’estremismo, piuttosto che criticare l’esasperazione in sé. Se vogliamo trovare le chiavi di lettura per comprendere meglio le vicende a cui abbiamo assistito nell’ultimo periodo, è necessario analizzare il contesto in cui viviamo. Potremmo notare come la nostra società ha un problema col riconoscimento politico nei confronti delle nuove generazioni. I giovani sono continuamente rilegati al margine dei luoghi decisionali e le loro proteste vengono guardate con insopportabile sufficienza e paternalismo. Sembra che il modo di protestare dei giovani non sia mai la forma giusta di lottare. C’è una petizione? Non è necessaria, bisogna scendere in piazza. Si scende in piazza? Non serve a niente, bisogna avere diplomazia e un compromesso con le istituzioni. Trovato il compromesso con le istituzioni? Sì, ma non vi ascolteranno mai, tornate a far rumore in piazza. Nonostante ad oggi, la maggior parte dell’attivismo su battaglie che dominano il discorso pubblico sia trainato dai ragazzi, quest’ultimi non vengono riconosciuti come attori sociali di rilevanza. Storicamente parlando, tutti i moti e le rivoluzioni cominciate dall’avanguardia delle società hanno sempre avuto una portata politica-sociale non indifferente. “La storia la fanno le nuove generazioni con le loro rivoluzioni” può essere vero. Eventi come il maggio francese, il Sessantotto italiano, piazza Tienanmen in Cina, le proteste contro la guerra in Vietnam nei campus universitari statunitensi o ancora il gruppo della Rosa bianca, che all’università di Monaco si oppose al nazismo con atti di resistenza non violenta, ne sono le dimostrazioni. Ad oggi invece, le lotte dei giovani per il loro futuro non vengono considerate con lo stesso spessore, tantomeno osservate con la stessa indulgenza. In questa confusione mediatica e generazionale, resta un dato di fatto: senza le istanze giovanili, la politica e le società sarebbero vittime di un immobilismo senza via d’uscita. Anche se con modalità discutibili o immature, i giovani cercano di essere parte attiva della storia.

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