Di Luna Accica. Fino al 29 aprile, a Palazzo Bonaparte a Roma, si terrà una mostra su uno dei più grandi pittori della storia. Un artista con la A maiuscola. Stiamo parlando di Vincent van Gogh. Ebbene sì, è possibile finalmente ammirare i quadri di Van Gogh senza spostarci in Olanda. La mostra percorre, attraverso le opere, tutta la sua vita, e alla fine di questo percorso vi sembrerà di averlo conosciuto davvero. C’è chi lo definisce pazzo, chi un genio e chi un fallito. Chi era veramente Vincent?
Van Gogh nacque in Olanda, in una primavera del 1853. Il padre era un pastore protestante e voleva che suo figlio seguisse le sue orme. Per questo motivo avrà una buona educazione ma la sua infanzia la passerà in solitudine, come per tutto il resto della vita. L’unica persona che gli stava sempre a fianco era suo fratello Theo, al quale scriverà molte lettere, anche se definire così è molto riduttivo, perché quelle, sono vere e proprie poesie.
Dunque spinto dalla volontà del padre, trovò impiego come predicatore in una regione povera del belgio chiamata Borinage, per affiancare una comunità di minatori. Gli venne assegnata una casa, ma non ritenne giusto avere questo privilegio di fronte della vita amara e laboriosa che affrontavano i minatori. Allora donò tutti i suoi averi ai poveri, andò in giro scalzo e decise di dormire in un pagliericcio al posto che in quella casa. Seguì per filo e per segno gli insegnamenti di Cristo, eppure il suo comportamento fu considerato troppo esagerato e venne allontanato dalla comunità.
Fallita la missione da predicatore, decise per la prima volta di prendere in mano il pennello, per dedicarsi alla pittura. Infatti intraprese questo percorso in età adulta ma senza aver alcun successo. Venderà solo un quadro durante tutta la sua vita. Vincent però non può smettere di dipingere; sente come se la natura gli parlasse, vede cose che gli altri non vedono, cerca di comprendere il senso della vita osservando le stelle, la luna, i cipressi ondulati dal vento. “Sia nella figura che nel paesaggio vorrei esprimere non una malinconia, ma il dolore vero” scrive in una delle sue lettere. Raffigura realtà crudeli, personaggi con volti scavati, persone sofferenti, in preda al dolore.
Il clima europeo non era ancora pronto a questo. Allora forse Van Gogh non era pazzo, come la gente voleva far credere ai suoi tempi. Perché un pazzo è anche un uomo che la società non ha voluto ascoltare e a cui ha voluto impedire di pronunciare delle insostenibili verità.
Non dobbiamo sorprenderci allora se veniamo a sapere che soffriva di depressione, bipolarismo e aveva attacchi di follia. Durante la convivenza con Gauguin per esempio, cercò di ferirlo con la lama di un rasoio e dopo, sentendosi in colpa, si tagliò un orecchio. Oppure si diceva che amasse così tanto il giallo, da mangiarsi i tubetti di colore.
Ciò che lascia scioccati tutti quanti, ancor più di ciò che raffigurava, è la sua pennellata. Una pennellata davvero unica nella storia: una pennellata tormentata, agitata, come se avesse vita propria. Se noi volessimo capire ciò che provava mentre dipingeva dovremmo proprio osservare questo.
Nel 1889 dipinge “Le notti stellate”, al plurale, perché ne farà tante versioni. A riguardo scrisse una bellissima lettera a suo fratello: “Sai Theo, non so spiegarti con esattezza il perchè, ma la vista delle stelle, mi fa sempre sognare. Come mai mi chiedo, quei puntini luminosi nel firmamento ci sono inaccessibili? che sia necessario morire, per raggiungere le stelle?”
Un anno dopo, si suicidò con un colpo di pistola. Era una giornata di domenica.
Oggi, è uno dei pittori più famosi al mondo. Milioni di persone restano affascinate di fronte ai suoi quadri. Forse, talenti così profondi, non riescono a maturare entro la fine della vita di un artista, hanno bisogno più tempo. Eppure Vincent sembrava sapesse che un giorno, gli sarebbero arrivati i dovuti riconoscimenti. Scrisse così: “La povertà è il mio destino. Però sarò pittore, e un giorno io vedrò la luce”.
Luna Accica