Di Ismaele Ronzio.  Qual è la differenza tra un barbaro e un ultras? La risposta è che non c’è alcuna differenza. Partiamo dalle origini: il termine ultras deriva dall’abbreviazione del termine francese “Ultra Royalistes”, e veniva utilizzato per indicare tutte le persone che, durante il periodo della monarchia francese, ai tempi della seconda restaurazione, sostenevano eccessivamente il re e gli ideali professati dalla monarchia. Con gli anni questo termine si è introdotto sia in ambito politico, ma soprattutto in ambito sportivo, diventando a tutti gli effetti sinonimo del fanatismo, fenomeno estremista per eccellenza. Non si sa con certezza quando sia nato il primo gruppo ultras in Italia, ma gli anni in cui si manifestò per la prima volta furono gli anni sessanta. Durante questo periodo nacquero le prime aggregazioni, formate per lo più dai giovani, provenienti dalle classi sociali più umili, che avevano come obiettivo quello di farsi notare durante le partite di calcio, dato che nella vita di tutti i giorni erano quasi invisibili, e proprio per questo motivo iniziarono ad occupare le aree più visibili degli stadi, ovvero le curve. Questo nuovo gruppo di tifosi si distingueva dagli altri, non solo per il modo di tifare, ma anche per l’abbigliamento, caratterizzato da sciarpe, maglie e bandiere con i colori della propria squadra. Con il tempo, questo nuovo modo di professare la propria fede calcistica, diventò sempre più eccessivo, e dal tifo organizzato si passò alla criminalità. Gli anni ottanta, il “periodo d’oro” degli ultras, furono segnati da frequenti e sanguinosi scontri tra gruppi di tifoserie diverse. La violenza, scaturita dalle frustrazioni dei tifosi, è stata, ed è ancora, il problema principale legato al fenomeno ultras e ogni giorno le forze dell’ordine cercano in tutti i modi di soffocare questi atteggiamenti sbagliati che si sono diffusi nelle nuove generazioni, ma i loro tentativi rimangono invani. Negli anni si sono presentati molti episodi legati alla prepotenza e alla violenza manifestata da questi gruppi estremisti, come ad esempio il caso di Vincenzo Paparelli, che durante il derby Roma Lazio del 1979, fu ucciso da un razzo nautico sparato da Giovanni Fiorillo, all’epoca giovane tifoso della Roma. Oppure il caso di Luca Pizzi, ragazzo di 25 anni, che fu accoltellato sei volte da Alessandro Caravita, figlio dello storico capo ultrà dell’Inter Franco Caravita, in seguito ad una discussione avvenuta tra i due. Non dimentichiamoci anche della inconcepibile strage della galleria Santa Lucia, nella quale persero la vita quattro persone e altre venti vennero ricoverate per ferite gravi, in seguito all’appiccamento di un incendio da parte degli ultras salernitani che, dopo aver visto la loro squadra scendere in serie B, a causa del pareggio ottenuto contro il Piacenza, decisero di farla pagare ai tifosi piacentini, come se effettivamente fossero i colpevoli del risultato ottenuto. Oggi gli ultras del calcio italiano non mostrano più il loro amore nei confronti della loro squadra, ma continuano a far prevalere il loro lato più deteriore, svilendo il senso di questo sport.