Di Andrea Conforto. La Cina continua la sua lotta contro il doping con campagne di sensibilizzazione, programmi educativi e pene severissime per i colpevoli. Peccato per i 23 atleti della squadra nazionale cinese che, si viene a scoprire ora, sarebbero risultati positivi ai test antidoping, sei mesi prima dei Giochi Olimpici di Tokyo 2020 (disputatesi però nel 2021). I 23 atleti cinesi avrebbero mostrato positività alla trimetazidina. Le indagini furono condotte all’ epoca dalla Federazione cinese, che avendo rilevato tracce della sostanza nella cucina dell’hotel in cui aveva soggiornato la squadra, ridusse il fatto ad un caso di contaminazione involontaria. Tale spiegazione fu sorprendentemente accettata dalla World Anti-Doping Agency (WADA), che, dopo aver consultato gli esperti del caso, non ha avviato indagini né preso provvedimenti contro gli atleti coinvolti, che hanno poi preso parte ai Giochi di Tokyo, senza nemmeno un giorno di squalifica preventiva.  

In Italia invece, nel 2017, il pluricampione mondiale dei 100 stile libero, Filippo Magnini, fu squalificato per 4 anni, a seguito dell’accusa di “tentato uso di sostanze dopanti”, un’accusa da cui poi, dopo tre anni di indagini fu completamente scagionato. Magnini non ha potuto nuotare per tre anni, senza essere mai risultato positivo a sostanze dopanti, ma solo sulla base di un presunto tentativo di volerne fare uso.  

Pensando a George Orwell si potrebbe dire “Tutti i nuotatori sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri”.