Di Laura Zogorean. L’aborto è un tema che in Italia come in tanti altri paesi, genera profonde fratture di opinioni, ma l’unica voce da ascoltare, in questo caso, è quella delle donne direttamente coinvolte. L’interruzione volontaria di gravidanza è sicuramente una scelta dolorosa che richiede un coraggio infinito, anche se troppo spesso, assume le spoglie di un reato. La legge 194 del 22 maggio 1978 decreta un diritto vero e proprio, a cui tutte le donne che lo ritengono necessario dovrebbero poter appellarsi senza sentirsi in dovere di giustificarsi, ma la realtà dei fatti è ben diversa; circa il 70% dei medici a livello nazionale sono obiettori di coscienza. Questa realtà porta le donne a dover affrontare un percorso, già di per sé spinoso, ancora più arduo; soprattutto per coloro che vivono nelle regioni più conservatrici. Esistono delle tempistiche da dover rispettare, l’aborto è consentito entro i primi 90 giorni di gravidanza, ma a causa delle liste di attesa estenuanti si incorre nel rischio di sforare tale limite temporale, vietando di conseguenza il libero arbitrio. La decisione di non portare avanti la gravidanza può avvenire per svariati fattori, ad esempio a causa di violenze e abusi sessuali subiti, a causa di circostanze economico-sociali incompatibili con il mantenimento di un neonato, per motivi di salute della donna che provocherebbero potenzialmente complicazioni fisiche o mediche gravi, o ancora motivi legati ad una grave anomalia genetica o malformazione del feto; questa è solo la punta dell’iceberg che si cela dietro la vita delle protagoniste. L’Italia ha urgentemente bisogno di menti pronte all’ascolto, empatiche e comprensive, si dovrebbe sensibilizzare il tema attraverso l’educazione sessuale, la condivisione di storie reali, di campagne di informazione dirette e incisive. È importante offrire supporto psicologico e assistenza durante il percorso per rendere la scelta più consapevole e meno stigmatizzata. Il cambiamento è necessario e deve partire da noi.