Di Mirko Vinci. “Io e tua madre non vediamo come tu possa vivere sotto questo tetto, se in sostanza vai contro Dio”. Una realtà cruda che fa distorcere lo stomaco e che purtroppo è ancora protagonista nelle vite di molti ragazzi in molte zone del nostro mondo. Una realtà che sembra aver detto di no ad ogni forma di progresso che il pianeta terra abbia mai sviluppato e che fatica a perire. Cacciati di casa, insultati per strada, scherniti a lavoro, ignorati dalla società soltanto per amare qualcuno dello stesso sesso: Joel Edgerton decide di mettere a nudo tutto questo in una commovente pellicola basata sulla storia vera di Garrard Conley e che vede tra i suoi protagonisti Russell Crowe e la splendida Nicole Kidman, due pezzi da novanta del cinema. Difficilmente un film riesce a far arrabbiare così tanto uno spettatore da farlo alzare dalla poltrona chiedendosi di come sia possibile che un ragazzo debba essere portato con forza in un centro di rieducazione sessuale. La rabbia, lo sdegno per una realtà che purtroppo è presente, esiste e si fa sentire come non mai. Li chiamano centri di rieducazione perché centri di annullamento della persona umana sembrava brutto. L’essere umano si vede privato di tutto ciò di cui non dovrebbe essere privato, della sua essenza, del suo essere: eppure il passato ci dovrebbe aver insegnato qualcosa a riguardo. In questi luoghi entra in moto un meccanismo che non solo ti fa dubitare di chi sei, ma che alla fine ti convince di essere sbagliato e che il cambiamento è qualcosa di necessario. “Una madre lo sa quando una cosa è sbagliata!”. Ci si può chiedere come due genitori possano permettere che tutto questo sia possibile, ma come accade nel film nel caso della mamma del ragazzo ad un certo punto l’orrore ti apre gli occhi e ti fa capire tramite una profonda auto analisi critica di sè stessi che tutto questo tuo figlio non può e non deve viverlo. Allontanarsi, dialogare, venirsi incontro, tutto questo non sempre è possibile, perché i casi di cronaca insegnano che molti genitori hanno dimostrato di non esserlo fino alla fine, arrivando a compiere delle gesta indicibili. Non sempre va così, a volte l’amore prevale e col tempo si riesce a recuperare un rapporto lasciato in un angolo soltanto perché non si aveva avuto il coraggio di guardare il proprio figlio in faccia ed accettarlo per quello che è. Informazione, lotta ed impegno nei confronti di un abuso fisico e mentale, affinchè questa “conversione” venga chiamata col suo nome più appropriato, ovvero “tortura”.
- Autore dell'articolo:Marco Palma
- Articolo pubblicato:9 Marzo 2021
- Categoria dell'articolo:Spettacolo