Di Santi De Luca. Si spengono dentro perdendo la motivazione, si abbandonano alla pigrizia senza desiderare altro che passare il tempo a dormire o davanti a un videogame.

Ragazzi di 15 anni che prima del Covid erano sempre presenti agli allenamenti in palestra o al campetto di quartiere, ora rinunciano allo sport perché non hanno più obiettivi.
Ragazzi che vorrebbero partecipare agli allenamenti pomeridiani ma che non possono farlo perché le lezioni in DAD (Didattica a distanza) sono state spostate negli stessi orari.
Gli è stata negata la possibilità di socializzare con amici e compagni di scuola.
Gli è stato negato l’unico momento in cui possono combattere il proprio malessere, in modo controllato e costruttivo.
Passano le giornate chiusi in casa davanti al computer o sdraiati sul letto o sul divano, perché i bambini a 10-15 anni non vanno a correre se devono farlo individualmente.
E’ difficile ora vedere i ragazzi arrendersi senza poter fare nulla perché a chi potrebbe aiutarli le restrizioni vietano qualsiasi cosa: allenatori, docenti di educazione fisica, personal trainer, team manager non hanno più strumenti a disposizione.

Anni e anni di duro lavoro per far comprendere l’importanza dello sport e delle relazioni di un gruppo in una squadra, sfumano in un secondo, forse per sempre.
Come si fa a incoraggiare a non arrendersi se non si ha più voglia di fare sport, senza poter offrire in cambio speranze, obiettivi futuri come partite o tornei, senza allenamenti in presenza e senza i compagni che aspettano sul campo? Certo: il limite, niente affatto da sottovalutare, è che potrebbe suussistere il pericolo del contagio, dell’assembramento di gruppo negli spogliatotoi che finirebbero per non essere completamente controllati dal personale preposto. E questo è il motivo dell’ordinanza

Tuttavvia, cosa si può dire a un bambino di 12 anni quando chiede perché l’amico in classe può allenarsi come prima, solo perché iscritto a un campionato di interesse nazionale per uno sport diverso, mentre invece lui no?
Ci sono sportivi di categoria A e categoria B per il legislatore, purtroppo oltre il danno anche la beffa.
Perché un ragazzo che ha scelto uno sport non riconosciuto o è troppo giovane per iscriversi in una categoria di preminente interesse nazionale non ha gli stessi diritti di fare attività sportiva di chi può continuare ad allenarsi come prima?
Non si è meglio o peggio, più bravo o meno bravo di qualcun altro solo perché si ha un logo cucito sulla maglia, nello sport la differenza si fa solo nelle gare e nel corso dei campionati e dopo un lungo periodo di allenamento svolto con sacrificio e dedizione, ma è solo una differenza di performance sportiva, per il resto siamo, ognuno con le sue caratteristiche, uguali e con gli stessi diritti.
Pacche sulla spalla, abbracci, strette di mano sono l’essenza dei rapporti umani: averli negati anche nel contesto sportivo e educativo sarà un danno irreparabile.

 

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