Di Francesca Zaza . La proposta di Tvgnews questa settimana verte su un film che fa della psicologia il suo punto di forza. Stiamo parlando di ‘’L’uomo del labirinto’’, un thriller, diretto da Donato Carrisi, che vede protagonisti Toni Servillo e Dustin Hoffman.

Niente creature mostruose o spiriti paranormali che siamo abituati a vedere in un classico film horror, ciò nonostante ‘’L’uomo del labirinto’’ riesce ugualmente a trasmettere le medesime emozioni. Quello che permane è però l’ambientazione tetra e a dir poco raccapricciante che fa da sfondo all’intera vicenda.

Disponibile sulla piattaforma ‘’Prime Video’’, il film racconta la storia di Samantha Andretti, una giovane donna che, dopo essere stata rapita mentre tornava da scuola e tenuta prigioniera per quindici anni, si ritrova in ospedale con una gamba ingessata e una flebo attaccata al braccio. La ragazza è riuscita a sfuggire da un incubo che sembrava ormai essere senza fine, eppure,  i suoi ricordi riguardo quanto è accaduto nei giorni passati in quello che lei stessa chiama ‘’il labirinto’’ sono ancora molto vaghi. Per tale motivo al suo fianco si trova il dottor Green, il cui obiettivo è aiutare Samantha a ricordare, dal momento che le è stata iniettata dal rapinatore una droga psicotica in grado di alterare la memoria di una persona. Inizia dunque una vera e propria caccia all’assassino che, secondo alcune testimonianze, indosserebbe una maschera da coniglio al fine di non essere riconosciuto. Sul caso, oltre al dottore, lavora anche Bruno Genko, un investigatore privato determinato a scoprire il vero volto del colpevole. L’uomo inizia così ad indagare per proprio conto sulla scomparsa della giovane, ma al contempo deve fare i conti con i suoi innumerevoli sensi di colpa per non essere riuscito a salvare la ragazza che allora aveva soltanto tredici anni.

Quello che il regista intende fare è chiaramente far spaventare, con la sostanziale differenza però che per farlo non si serve dei soliti elementi del genere horror ma, al contrario, è proprio l’innovazione ciò che fa del film un’opera eccellente. Primo fra tutti è l’immagine simbolica del labirinto a mettere soggezione allo spettatore, il quale è costretto a confrontarsi con un mondo dove è facile perdersi. Ma quello che salta immediatamente all’occhio è il senso di smarrimento che la dimensione spaziale e temporale provocano nel pubblico. Non è un caso che la scelta dell’ambientazione sia ricaduta su una città tremendamente opprimente, quasi surreale, che sembra non avere alcuna identità specifica. In modo analogo anche il tempo in cui si svolge l’intera storia risulta non totalmente chiaro, tant’è che arriva perfino a confondere lo spettatore. Difatti, ci vengono mostrati di continuo cellulari e computer , che appartengono al mondo moderno, accompagnati però da vecchi schermi e attrezzature che al contrario sono simbolo del passato.

In che epoca è ambientata la vicenda? E’ questa la domanda a cui non si riesce a trovare una risposta definitiva. In tal modo, non potendo avere la certezza di dove si trova e in che momento,  il pubblico è costretto a muoversi completamente solo, dato che non vi è alcuna bussola a mostrargli la strada. E’ lui a dover costruire la storia, pezzo dopo pezzo come se fosse un puzzle, e arrivare poi a scoprire la verità.

E’ dunque inevitabile che allo smarrimento si sovrapponga un senso di solitudine e al tempo stesso di inquietudine. Ma così come lo spettatore non può far affidamento su nessuno, anche i personaggi stessi sono obbligati a contare solo su se stessi. Questo senso di inquietudine, infatti, poggia le sue basi sulla certezza di non potersi fidare di nessuno, in quanto ognuno modella la verità a proprio piacimento.

Insomma in questo gioco nulla è davvero come sembra.