Di Nicoletta Carli. Come se non ve ne fossero già abbastanza, un’altra sfumatura della disuguaglianza di genere emerge nel mondo dello sport. Un altro settore in cui quel fiocco rosa appeso sulla porta di casa ha preso il significato di ‘’gender gap’’. Una disparità radicata nella cultura, nella società, nell’educazione e che comporta gravi divari a livello economico e professionale. Un’ineguaglianza alla quale oggi si cerca in tutti i modi di mettere un freno; alla quale oggi si deve dire ‘’basta!’’.
Non è mai troppo presto per incominciare a dare etichette, per cui già da bambini si incomincia: un bel tutù rosa per la bambina che sarà una ballerina e dei bei scarpini da calcio per il maschietto. Peccato che queste innocue e tenere divisioni dei ruoli non si fermano qui. Meno inoffensive infatti sono le disuguaglianze odierne nel mondo dello sport. Sembrerebbe che molte discipline siano ancora ‘’considerate da maschio”, un’assurda e non veritiera tautologia che comporta disagi per le donne che vogliono ambire ad una carriera sportiva. Difficoltà che si riscontra non solo per le atlete, ma anche per altri ruoli nel sistema sportivo italiano, nel quale secondo dati de ‘’La Repubblica’’ sembrerebbe che le atlete, le dirigenti di società sportive, i tecnici-donna e le dirigenti federali rappresentano una media del 20% rispetto all’80% dei colleghi uomini. Dati assurdi che non nascondono l’evidente realtà tale per cui lo sport è ancora ‘’un lavoro da uomini’’.
Alla sottorappresentazione del genere femminile, si aggiunge anche un importante divario economico tra le retribuzioni di atleti ed atlete, specialmente nel mondo del calcio. Dati Ansa fanno infatti emergere che il calcio femminile può ancora definirsi come ‘’l’altro calcio” dove le atlete sono meno rappresentate e meno pagate rispetto ai colleghi uomini’’. Questo accade anche perché le atlete italiane, pur giocando ad alti livelli, non possono essere ancora riconosciute come professioniste. Ebbene sì, uno degli sport più seguiti in assoluto in Italia, per adesso sembra non dare il buon esempio nella lotta alla disparità di genere. Almeno non fino alla stagione 2022/2023, stagione in cui dovrebbe terminare il progetto avviato e teso al riconoscimento dello status professionistico per le giocatrici in Italia.
Provvedimenti che tardano ad arrivare, ma che comunque sembrano essere i primi bagliori di luce in una situazione ancora tanto scura. Abbiamo di fronte il classico scenario per cui una donna è ritenuta meno adatta o meno prestante. Abbiamo di fronte un’altra battaglia da combattere non solo nelle istituzioni, ma anche e soprattutto nel senso comune e nella società. Una cultura che ci incolla per ore e ore a guardare partite sul divano e si prediligono sempre partite maschili. Automatismi inculcati nella testa che, ancora una volta, giocano a sfavore di un genere; che ancora una volta scindono quasi radicalmente roba da maschi e cose da femmine.
È ora di cambiare. Di dire basta ad una tradizione che pone ancora una volta dei paletti. Di abbandonare vecchie credenze per cui le differenze fisiche tra maschi e femmine comportino automaticamente anche differenze di trattamento o percezione. Un cambiamento che deve assolutamente cancellare quella strana idea per cui ‘’le donne indossano i tacchi e gli uomini i tacchetti’’. Un’inversione di tendenza che deve partire da tutti, che deve necessariamente portare a non fare più nessuna distinzione tra sport da uomini e sport da donne. Un cambiamento che, per primo, deve avvenire nella testa di noi tutti.