Di Giorgia Medrihan. Viviamo in un’epoca dove il riflesso nello schermo ha preso il posto del riflesso nello specchio. Dove la vita è raccontata attraverso filtri, like e cuori virtuali, e l’importanza di “apparire” sembra avere più peso dell’essere. Ma cosa significa per i giovani questa ricerca costante di perfezione e approvazione? E cosa ci dice di noi, come società?
Guardiamo i nostri giovani. Guardiamoli mentre si scattano foto, cercano l’angolazione giusta, scelgono la luce perfetta. Non è solo vanità, non è solo frivolezza. È il bisogno di sentirsi accettati, amati, visti. La paura di non essere abbastanza per il mondo li spinge a costruire un’immagine che sembri impeccabile, anche quando dentro si sentono insicuri e fragili.
Dietro un selfie perfetto c’è spesso una lotta invisibile: il confronto con gli altri, l’ansia di non piacere, il timore di essere esclusi. Ogni filtro, ogni posa, ogni didascalia è un modo per gridare: “Guardatemi, ci sono, valgo qualcosa”.
La società in cui crescono non li aiuta. Siamo circondati da modelli irraggiungibili, da influencer che vendono perfezione, da campagne pubblicitarie che associano il successo alla bellezza e alla popolarità. I giovani imparano presto che l’apparenza non è solo un valore: è una moneta di scambio per accettazione e riconoscimento.
Ma cosa succede quando la vita reale non regge il confronto con quella online? Quando la corsa a essere “qualcuno” porta solo frustrazione e senso di vuoto?
Eppure, c’è speranza. Tra le foto patinate e le stories perfette, molti giovani stanno iniziando a reclamare uno spazio per la verità, per l’autenticità. Influencer che mostrano i propri difetti, ragazzi che parlano apertamente delle loro fragilità, movimenti che celebrano la diversità e la normalità.
Apparire non deve essere una prigione. Può diventare un mezzo per esprimersi, per raccontare chi si è davvero, senza paura del giudizio altrui. Per farlo, però, dobbiamo insegnare ai nostri giovani che il loro valore non si misura in like, ma in ciò che portano nel mondo: le loro idee, i loro sogni, la loro unicità.
A voi, ragazzi che vi guardate nello specchio e vi chiedete se siete abbastanza: lo siete, anche senza filtri. Non siete una foto, non siete un numero di follower. Siete storie, pensieri, emozioni. E questo, credetemi, vale molto più di qualsiasi applauso virtuale.
E agli adulti: smettete di giudicare. Invece di criticare i giovani per la loro ossessione di apparire, chiedetevi cosa possiamo fare per dar loro un mondo dove essere se stessi sia abbastanza. Un mondo che li ami per ciò che sono, non per come sembrano.
Perché dietro ogni foto c’è un cuore che batte, e quello, sì, è davvero importante.
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