Di Francesca Sofia Rizzo. La salute mentale è un benessere per la persona. Così serio che, quando è compromessa, tutto nella vita della persona che soffre viene sconvolto, talvolta al punto da portare a un totale annientamento di sé che culmina col suicidio.
Secondo l’OMS, la malattia mentale più diffusa, la depressione, interessa 300 milioni di persone nel mondo ed è la prima causa di disabilità. Non ci sono paesi o fasce demografiche che ne sono immuni ed è pertanto una realtà con cui ognuno di noi può venire in contatto, anche nelle aule universitarie e scolastiche.
Ciò è tanto più vero se si considerano i dati dell’Istat, secondo cui gli studenti italiani sarebbero tra i più depressi e ansiosi d’Europa: nel nostro paese il 10% dei ragazzi tra i 12 e i 25 anni, dichiara di non trovarsi in uno stato mentale ottimale e denunciano la percezione di una forte pressione scolastica, oltre che l’angoscia per la mancanza di prospettive future. Una causa può essere rinvenuta nell’affermarsi di una cultura performativa sia al liceo che all’università, mentre il tema della salute psicologica degli studenti risulta come grande assente in ogni dibattito.
La situazione è analoga in molti paesi del mondo e in alcuni casi sono gli stessi ragazzi a mobilitarsi per far sì che lo status quo cambi. Ne sono esempio alcuni studenti dell’Oregon, stato degli USA in cui nelle ultime tre decadi il tasso di suicidi ha superato la media nazionale; quattro giovani attivisti hanno proposto una legge, entrata in vigore in questo anno scolastico, che permette agli studenti di avere 5 giorni di assenza giustificata nell’arco di tre mesi per motivi di salute mentale. Una di loro, Hailey Hardcastle, ha dichiarato che la spinta a impegnarsi in questa lotta è nata dall’esperienza personale e dall’aver osservato molti dei suoi amici avere difficoltà a scuola per colpa della depressione.
Ovviamente già prima chi fosse in possesso di una diagnosi aveva il diritto ad assenze e ulteriori aiuti da parte della scuola. Questa legge tuttavia vuole contrastare, innanzitutto, lo stigma sociale riguardo la salute mentale portandola sullo stesso piano di quella fisico, dando così la possibilità a tutti gli studenti, anche chi non avesse un disturbo conclamato ma stesse passando un periodo difficile, di non doversi vergognare e mentire, ma incoraggiandolo a chiedere aiuto.
Questo aspetto non va sottovalutato, poiché le condizioni di vita di chi soffre di disturbi mentali non dipendono solo dall’entità della malattia, ma anche dal grado di accettazione di essa all’interno dei propri nuclei affettivi e, più in generale, nella società. La necessità di una cultura sociale riguardo a questo tema è stata ribadita nel Forum ”Headway 2020” tenutosi a Bruxelles lo scorso ottobre, parte di un’iniziativa che mette in contatto diverse realtà europee per definire nuovi percorsi di cura, nuovi orizzonti di speranza.