Di Cecilia Cerasaro. Il 2019 sarà ricordato come l’anno in cui una fra i giovani della nostra generazione ha scongiurato un disastro climatico preannunciato. Sto parlando di Greta Thunberg, classe 2003, e naturalmente della combattiva generazione Z.
Se c’è infatti una cosa che questo decennio, appena concluso anch’esso, ci ha insegnato, una decade di elezioni e referendum epocali vinti a suon di fake news propinate da algoritmi sconosciuti a chi non aspetta altro che crederci, è che per l’uomo contemporaneo la realtà dei fatti rimane sempre in secondo piano rispetto alla rappresentazione di essa. La comunicazione è tutto.
E così ad inizio 2019 a nessuno importava che dagli anni ’80 i climatologi fossero preoccupati per il riscaldamento globale, che ad oggi nessuno di loro potesse più negare che i cambiamenti climatici fossero causati dall’attività umana, che nel bel mezzo dell’Oceano Pacifico galleggiasse un continente di plastica di tre milioni di tonnellate, che stessimo perdendo le nostre foreste a causa di incendi o l’abbattimento di alberi per lasciar posto a colture intensive e allevamenti, o che la massa dei ghiacciai, polari e non, non fosse mai stata così ridotta.
Tutto questo si sapeva, ce lo avevano detto molto prima dell’inizio del 2019, ma non era stato comunicato nel modo corretto. E infatti nessuno ci ha creduto davvero e ha preso provvedimenti fino a quando Greta Thunberg non si è detta, guardandosi intorno nella sua Stoccolma, che era impossibile che la società continuasse ad ignorare il problema. E così sono iniziati i suoi scioperi solitari davanti al Parlamento Svedese, nell’Agosto 2018. Una passione e una determinazione curiose, che hanno attirato l’attenzione dei media: proprio quello che ci voleva. Si sarà sentita chiedere cento, mille volte a cosa servisse saltare tutti quei giorni di scuola, dal momento che non faceva né poteva fare nulla di concreto per il clima, protestando in quel modo.
E ce lo siamo sentiti chiedere tutti noi, me compresa, quando abbiamo manifestato nelle piazze di tutto il mondo il 15 Marzo 2019. Ci hanno detto di tornare a studiare, come hanno fatto con Greta, e che siamo troppo giovani per capire. E lo hanno affermato coloro che hanno vissuto la propria esistenza senza preoccuparsi del danno che causavano al pianeta, lo hanno detto a noi che subiremo sulla nostra pelle le conseguenze del loro stile di vita.
Ma da quel giorno nessuno ha potuto più ignorare che il cambiamento climatico è una realtà. Anche chi credeva già nella causa ha avuto modo di imparare, nel clamore mediatico che le proteste ambientaliste hanno prodotto in tutto il mondo, qualcosa di più su come rispettare l’ambiente. Di pari passo con la fama di Greta è cresciuta l’informazione, si sono moltiplicati gli articoli di giornale, i programmi televisivi e le pagine social che si occupano dell’argomento, così come anche le iniziative, private e non, per ridurre i consumi di plastica e di energia prodotta da fonti non rinnovabili. Perfino il passaparola è stato efficace nel diffondere l’allerta sul clima e l’attenzione ai piccoli gesti in difesa dell’ambiente.
I primi risultati concreti di quegli scioperi che non dovevano servire a niente si sono visti addirittura durante gli scrutini delle Elezioni Europee: il 26 Maggio 2019 i Verdi sono il terzo partito in Germania e il secondo in Francia. Nel complesso gli eurodeputati verdi da 50 sono saliti a 75 nel Parlamento Europeo. Lo stesso Parlamento Europeo che aveva approvato il cosiddetto Piano 20 20 20, un pacchetto di misure varato nel 2010 per ridurre dal 1990 del 20% le emissioni di gas a effetto serra, migliorare del 20% l’efficienza energetica e coprire il 20% del fabbisogno energetico con energia da fonti rinnovabili entro quest’anno.
Ma questi buoni propositi rischiano di non bastare. Se l’Europa si è impegnata nel raggiungimento di questi obbiettivi, nel complesso nel mondo la situazione è peggiorata, i livelli di Co2 sono in continuo aumento. E il 2019 sarà ricordato anche per i grandi incendi che durante l’estate hanno divorato la Siberia e soprattutto la foresta amazzonica, il “polmone verde” del pianeta, fondamentale per la produzione di ossigeno necessario alla vita sulla terra, per la riduzione della temperatura e della Co2 responsabile dell’effetto serra che causa il riscaldamento globale, nonché casa di tante specie in via di estinzione.
Finalmente i media hanno il fatto non come un disastro isolato ma come un grande evento di una catena innescata dal cambiamento climatico e ambientale, e hanno attaccato, insieme ai giovani di tutto il mondo, il presidente del Brasile Bolsonaro, colpevole di non proteggere l’Amazzonia dagli interessi commerciali dei privati.
Tuttavia il 27 Settembre, giorno del terzo Global Strike for Future, le polemiche nei confronti di Greta Thunberg non si erano placate. Anzi sembravano inasprite anche a seguito del suo ormai celebre discorso “How dare you?”, tenuto dall’eroina del clima il 23 Settembre davanti ai rappresentati delle Nazioni Unite, in cui la ragazza attaccava l’ONU, incolpando i “potenti del mondo” di non fare abbastanza alle soglie di un estinzione di massa.
E qui i “potenti del mondo” si sono accorti che il movimento degli Strike for future non è una goliardata da ragazzini che vogliono saltare la scuola, ma una minaccia per il sistema capitalistico che sfrutta senza pietà la nostra terra, inquina la nostra aria, distrugge foreste, riempie di plastica i nostri mari, in nome del benessere consumistico e del profitto economico. Non a caso il quarto Venerdì per il futuro è stato il 29 Novembre, il giorno del Black Friday, in polemica con la ricorrenza consumistica dei saldi. E così sono riprese a circolare sui social le voci che Greta sarebbe foraggiata dai “poteri forti”, quando è chiaro a tutti che nel suo scontro con le multinazionali dell’inquinamento non è lei quella che se vincesse avrebbe un tornaconto economico.
Proprio in quei giorni di Novembre in Italia si stava discutendo la manovra di bilancio, all’interno della quale non hanno trovato posto le misure ambientali, tra cui la famosa Plastic Tax, per il Green New Deal, il piano ecologico che dovrebbe essere l’obbiettivo primario del governo Conte Bis. E il motivo è che mancavano i fondi, i soldi, che sembrano adesso il peggior nemico dell’ambiente. Poco prima, infatti, Venezia era finita sotto l’acqua perché il Mose, il sistema che deve proteggere questa città stupenda dall’innalzamento delle acque causato dallo scioglimento dei ghiacciai, non era pronto, dal momento che qualcuno aveva rubato i fondi per la sua costruzione.
Mentre si festeggia l’inizio dell’anno nuovo da noi è inverno, ma in Australia l’estate ha portato nuovi incendi e devastazioni ambientali. Il 2019 sarà ricordato come l’anno in cui una ragazzina ha salvato il mondo, ma solo se il pianeta sarà salvato. Altrimenti, forse, non ci sarà nemmeno più nessuno a ricordare.