Di Cecilia Cerasaro. Petronio, con il suo Satyricon, punta le impietose luci del teatro Argentina in fondo al vuoto e all’insensatezza della vita dello spettatore del presente. Lo spettacolo diretto da Francesco Piccolo in scena fino al primo dicembre sacrifica il rispetto della trama del capolavoro del primo secolo, nonché l’ambientazione e ogni riferimento alla cultura antica. Solo in questo modo può davvero rispettare il senso e la morale, o meglio la non morale, dell’opera.

La rappresentazione inizia a luci di sala accese con gli attori che discutono nella platea. Dalle prime battute lo spettatore si rende conto che la distanza fra la sua vita e il tema rappresentato è minima, tanto che quando gli interpreti si spostano sul palco a salire è tutto il pubblico. In questo è senza dubbio rispettato lo spirito del teatro antico: uno spettacolo in cui ci si sente coinvolti, con un Argentina privo quasi della formalità del luogo teatrale, è una rarità nel panorama moderno. La messa in scena perderebbe qualcosa se il pubblico rispettasse il silenzio, non ridesse e non fosse portato a ripetere le battute dei personaggi.
E quest’ultima tendenza è fortissima dal momento che sono le parole della vita quotidiana, i commenti banali e stereotipati, i frammenti delle conversazioni di un abitante di Roma dei giorni nostri a comporre i dialoghi. Sempre che di dialoghi si possa parlare: gli attori ripetono più volte le parole, sconnesse, sconclusionate e incoerenti senza mai comunicare. Le ripetizioni sono dettate dal ritmo sincopato di una musica ticchettante e monotona che ha la funzione di stordire e ipnotizzare lo spettatore.

Sullo sfondo dorato e scintillante che allude ad un ricco salotto o un locale da feste, siede su un disgustoso wc dorato, Trimalchione, il liberto arricchito, il parvenue avido e grezzo descritto da Petronio. Attorno a lui si muovono i personaggi stereotipati che popolano oggi la Roma mondana. Sono caratteri mal assortiti, nessuno sembra avere a che fare con gli altri: chi si crogiola in quel vuoto esistenziale, chi di forma vi di oppone ma alla fine vi partecipa, chi discute di temi fondamentali a tempo perso e che si lascia trasportare dall’alcol e dal sesso. Ma l’elemento che li unisce è la festa continua, sintomo di una decadenza morale che da duemila anni, e forse da sempre, caratterizza l’esistenza umana.
L’indifferenza, la vanità dei buoni propositi e delle istanze morali, l’edonismo forzato, il sesso, il lusso, lo sfoggio della cultura artistica e letteraria sono, oggi come allora, inutili tentativi di nascondere l’incombenza inevitabile della morte.

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