Di Sara Condrò. E’ una realtà  difficile, spesso crudele; quasi sempre taciuta. E a farne le spese sono i ragazzi; gli under 17 o 18. che sognano di diventare dei futuri campioni ma che si scontrano prima o poi con un mondo dove business, corruzione e ipocrisia hanno preso il sopravvento a spese, purtroppo, solo dei giocatori che ne fanno parte. Nei settori giovanili del calcio nella maggior parte dei casi infatti i ragazzi si trovano coinvolti in un circolo ipocrita e corrotto, al centro del quale non c’è il loro bene come si vorrebbe far credere, ma gli interessi economici altrui. Ciò avviene a partire dalla categoria “Allievi” (14 anni di età), durante la quale i giovani intraprendono il loro primo vero campionato in cui le cose iniziano a farsi più “serie”. Qui un allenatore si vede costretto a fare delle scelte, eliminando il turnover tipico della scuola calcio, e quindi schierando una squadra titolare e delle riserve. La scelta dei titolari dovrebbe basarsi sulla qualità dei giocatori, e anche su doti che non riguardano l’ambito calcistico, come ad esempio la serietà mantenuta nella settimana di allenamenti, l’educazione ecc., ma purtroppo non sempre è così. In ogni società ci sono dei retroscena che in pochi hanno il coraggio di far venire alla luce, ma che non si possono più nascondere per il bene dei ragazzi. Il calcio dilettantistico non è più un ambiente puro nel quale si cerca di formare dei talenti e ci si diverte allo stesso tempo. Primi tra tutti, i complici di questo scenario di declino sono i genitori, premettendo che non si vuole fare di tutta l’erba un fascio. Convinti di avere competenze sufficienti, i genitori si autoproclamano allenatori, giornalisti, tifosi, giudicando il lavoro altrui se il proprio figlio non ha in quel momento un ruolo rilevante, ma non è tutto. E’ ormai consuetudine per un genitore offrire dei soldi alle società, ma ancor più scandaloso è sapere di madri disposte ad offrire il proprio corpo pur di garantire la presenza del proprio figlio in campo. Altra soluzione a cui ricorrono sempre più spesso i genitori sono i procuratori, che “spianerebbero” la strada verso il professionismo ai ragazzi in cambio di soldi. L’errore è proprio questo: il vero procuratore non chiede soldi ma si interessa per primo del ragazzo e se ne occupa fino alla firma di un contratto professionistico stipendiato, dopo il quale trarrà i suoi guadagni, NON PRIMA! Coloro che attualmente nel mondo giovanile si definiscono procuratori in realtà sono persone con conoscenze tali da poter mettere in contatto la società dilettante con una professionistica e trovare accordi per il trasferimento, ma una volta risolto per il cartellino la famiglia si vede costretta a dover pagare le spese del convitto ed eventualmente della scuola, per poi vedere il proprio figlio seduto in panchina. Se dunque un genitore volesse firmare una procura per il proprio figlio, si assicuri che il procuratore stesso sia interessato al ragazzo.

In una situazione ormai sfuggita al controllo del calcio dilettantistico sempre più ragazzi perdono la passione per questo sport che, parte delle volte a loro insaputa, non ha più come motori la passione ed il talento, ma i soldi e la corruzione.

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