Di Cecilia Cerasaro. Quest’anno l’Italia, occupata a combattere l’emergenza sanitaria, non si è quasi accorta che domenica scorsa, l’8 Marzo, era il giorno della cosiddetta Festa delle donne. C’era certo poca voglia di festeggiare quest’anno. Ma bisogna specificare che quella che più correttamente dovrebbe essere chiama Giornata Internazionale della donna non nasce però come una celebrazione di genere ma come un giorno dedicato alla riflessione sulla condizione femminile nel mondo. A tal proposito è interessante capire a che punto è la rappresentanza nelle istituzioni delle donne in Italia, perché solo un’equa distribuzione delle cariche politiche tra i generi può garantire la parità.
Purtroppo, anche se si sono percepiti dei miglioramenti, c’è ancora tanto da fare. In Italia le parlamentari rappresentano il 36% del totale e nel Governo Conte II solo sette ministri su ventuno sono donne. È ancora più difficile che siano a capo di commissioni parlamentari o di ministeri con portafoglio. A livello locale la situazione è ancora peggiore: in questo momento solo due regioni italiane su venti hanno una presidente di regione di sesso femminile. Se davvero non esistessero più pregiudizi nei confronti delle capacità di leadership delle donne, la percentuale dovrebbe aggirarsi intorno al cinquanta per cento. Dunque una fetta del paese, addirittura la metà, è sottorappresentata.
Nel 2003 la Costituzione è stata modificata in modo che non solo garantisca le pari opportunità tra uomini e donne, ma le promuova. Si è riconosciuto dunque che il principio non è scontato e che ancora oggi le donne subiscono discriminazioni e vengono considerate incapaci. Questa modifica applicata in ambito politico si è tradotta spesso nell’introduzione delle quote rosa, ossia dell’obbligo di eleggere un certo numero di donne tanto al Parlamento quanto nei comuni e nelle regioni. Questo sistema è stato criticato delle femministe stesse perché restituisce delle donne l’immagine di minoranza da proteggere, come se la loro rappresentanza nelle istituzioni fosse un atto di beneficenza e non il riconoscimento di doti personali pari a quelle degli uomini.
D’altra parte se alle donne non viene mai data la possibilità di dimostrare quanto valgono l’opinione comune non cambierà. Nelle scorse elezioni politiche, ad esempio, era stata data ai cittadini la possibilità di esprimere la preferenza per tre candidati purché si alternassero per sesso. Anche con questo metodo, come si è già evidenziato, le donne elette sono state poco più di un terzo del totale. Questo è il segno che per cambiare davvero le cose le leggi non bastano, ci vuole un mutamento della mentalità.

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