Di Edoardo Cafaro. In tantissime circostanze calcio e violenza sono due assi che si intersecano e creano un’etichetta piuttosto scomoda nei riguardi dello sport più seguito al mondo. Ma tutto questo parte e fonda le sue radici nella provincia, nei campi delle giovanili di calcio, in particolar modo sugli spalti. Ebbene si, è sugli spalti che si assiste maggiormente a questo tipo di manifestazioni. Riporto un episodio di violenza a cui ho potuto, purtroppo, assistere, in una gara della categoria degli under 17, in cui un genitore degli ospiti reclamava una decisione, secondo il suo punto di vista errata, nei confronti del direttore di gara, ed ha scatenato l’ingiustificabile ira di un genitore “avversario”, il quale ha scagliato un pugno nei riguardi dell’altro adulto. Una scena raccapricciante, ancor di più se si pensa che i protagonisti in campo, i giovani, sono prontamente intervenuti per placare la scarsa lucidità dei genitori. Una prima etichetta, da questo racconto, viene subito deposta: sono gli adulti, o meglio ancora i genitori, che scatenano questi sciagurati fatti. Ritengo che in questo mondo, i “grandi”, pongano delle aspettative fuori da ogni logica nei riguardi dei propri figli o nipoti, suscitando ansia e nervosismo nei confronti di giovani ragazzi, a cui sarebbe richiesto solamente di divertirsi, giocando ed esprimendo il proprio massimo, qualsiasi esso sia. Il genitore, a tal proposito, andrebbe maggiormente educato: il figlio, per antonomasia subordinato all’adulto, in questo ambito, risulta essere più centrato, educato ed equilibrato, rispetto ai genitori, i quali palesano in questi contesti le loro insoddisfazioni, le loro cadute e i loro crolli della vita, appesantendo, e non poco, di riflesso, i figli, i quali risultano succubi di questa negatività. La violenza necessiterebbe di un’estinzione, ma visto che si parla di un’ipotesi piuttosto utopica, bisognerebbe partire con l’intervento in questi settori: un motivo di ritrovo, di incontro, di confronto, divertimento e passione, come il calcio, andrebbe tutelato maggiormente. Coloro i quali non hanno la capacità, come ogni essere umano pensante, di trattenere i propri istinti, meritano dapprima un allontanamento duraturo dai campi, per poi esser sottoposti ad un percorso psicologico, tale per cui ritrovino serenità e consapevolezza e, di conseguenza, trasmettendo tale sentimento nei riguardi dei ragazzi.