Di Martina Di Lernia. Parola nuova, usata molto: dalle conseguenze terrificanti. Cyberbullismo. Non ci rendiamo conto però che tutto quello che facciamo diventa un fenomeno pubblico alla portata di tutti, anche dei mal intenzionati, ed ecco, allora, apparire la forma tecnologica del bullismo: il cyberbullismo. Come recita il detto “le parole volano, lo scritto rimane” ed è esattamente così : suoi social, più che sulla carta, le parole rimangono indelebili e sono poste al vaglio di chi, potrebbe ribattere ancora più pesantemente a sfavore della vittima, producendo un fenomeno collettivo volto alla demolizione emotiva della persona. I social ci hanno reso più “forti” ma nell’accezione di “codardi”, in quanto riducendo le persone ad una banale icona immersa tra tante altre, ci fa credere di essere uno dei tanti invincibili e di poter dire qualsiasi cosa senza pagarne le conseguenze: ma non è, e non e non lo sarà mai, anche per il coraggio di chi decide di metterci la faccia e denunciare.
In questi giorni si è sentito frequentemente parlare e polemizzare sulla scelta delle nuove politiche adottate da una delle applicazioni di messaggistica più utilizzate al mondo: Whatsapp. Dopo diversi scandali che riguarderebbero i social appartenenti a Facebook, che a detta dei più ruberebbero i dati degli utenti, milioni di persone in tutto il mondo stanno decidendo di spostarsi su applicazioni diverse, come Signal, Session, Telegram e tanti altri.
È vero quindi che potremmo riuscire a migrare, in poco tempo, da quest’app per rifugiarci in altre considerate più sicure, eppure c’è da considerare un fatto non indifferente: le persone che utilizzano i social sono sempre le stesse e queste, di certo, non cambiano il modo di approcciarsi con esse. Tutto questo si va accentuando in un momento storico in cui non abbiamo molte scelte per socializzare, se non attraverso queste piattaforme immateriali.