Di Federico Manzi.

Presenza, silenzio e fatti. Sono questi i tre fattori che hanno contraddistinto Dan e Ryan Friedkin fin dal primo momento.“Rome is still American”. Sono più di dieci anni ormai che Roma, sponda giallorossa, è sotto il controllo americano. Prima la breve parentesi di Thomas Di Benedetto per poi passare alla gestione decennale e fallimentare dell’era Pallotta ed ora, da poco meno di due anni, si è insediata nella Capitale la famiglia Friedkin.

Con l’appoggio costante alla squadra sia all’Olimpico che in trasferta, in poche settimane hanno eguagliato il connazionale Pallotta che in dieci anni non ha praticamente mai vissuto le vicende giallorosse da vicino, ma sempre a km di distanza. Poche dichiarazioni con l’annuncio a sorpresa, lo scorso maggio -con campionato ancora in corso- dell’ingaggio di un certo Jose Mourinho che, come da previsione, ha esaltato e non poco i tifosi giallorossi. Dal punto di vista economico, invece, se da una parte i texani devono garantire una squadra di livello al mister portoghese con innesti dal mercato di spessore per far tornare la Roma a livelli Champions, dall’altra devono fare i conti con un indebitamento che, al trenta dicembre scorso, segna il rosso per ben 253,4 milioni di euro. Mettici poi il settimo posto della scorsa stagione, i due anni di pandemia che, con gli stadi deserti, hanno di fatto azzerato gli incassi societari ed un monte ingaggi che non rispecchia per niente le prestazioni della squadra, la situazione non è delle migliori. Insomma, l’accoppiata Friedkin- Mourinho sembra aver riportato entusiasmo in una piazza che, da anni, stava vivendo più momenti di ombre che di luce. Tanto che, nonostante i risultati dell’ultimo periodo non siano eccellenti, i tifosi -a differenza delle scorse stagioni- continuano a manifestare appoggio costante a mister e società. Nonostante ciò, però, c’è da dire che se veramente i Friedkin hanno voglia di trasformare il volto di questa squadra in ogni singola parte, il cambiamento deve partire proprio da loro: voce che si dovrebbe far sentire forte con i vertici del calcio italiano per eliminare la nomina di “piccola”, così come disse Mourinho un po’ di tempo fa, nei confronti delle squadre più blasonate. All’interno delle mura amiche, invece, il silenzio nei momenti più difficili, non basta ed anche se nessuno –ad oggi- ha manifestato segni di insoddisfazione è doveroso che le strigliate a giocatori ed allenatore, quando servono, arrivino proprio dai padroni di casa quali sono.

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