Di Melissa De Benedetto.

Daniele, il protagonista della serie, è un ragazzo problematico e sensibile, che in seguito a un episodio psicotico viene ricoverato per sette giorni in regime di TSO nel reparto psichiatrico di un ospedale romano. Lì trova cinque compagni di stanza, cinque naufraghi come lui, uomini che hanno perso l’anima, o la pelle. Essere senza pelle vuol dire avere tutto addosso, la difficoltà del vivere, quella che per gli altri è normalità, essere soffocati dalla sensazione che nulla ha un senso, che tutto pesa, il dolore come la bellezza, che l’uomo è niente più che un rigurgito di vita. Che cura c’è allora per questa vita quando è l’enormità di tutto che annienta?

Il film contiene la complessità del tema della salute mentale, che non può essere stigmatizzata o ridotta a una sola definizione e il tema della vita, così follemente illogica, una nave di pazzi sulla quale viaggiamo tutti.

“I pazzi”, ognuno nel suo angolo di stanza, anime nude, sensibili, ferite, come chi ha fatto della bellezza e della leggerezza il suo lavoro; parlano una lingua così ricca che arriva direttamente al cuore. È in quella lingua che si cela il segreto della creatività, della possibilità di lasciarsi andare alla propria fragilità. In fondo, la vera pazzia è non cedere mai.

La follia non è solo chimica da riparare con le medicine giuste, è uno sguardo puro alla realtà, è la “nostalgia del paradiso”, un ricordo sgranato di una verità, la parte di sé più vitale e dolorosa, estremamente umana.

Serve curarsi, per non farsi male, per non circondarsi di dolore, ma serve anche accogliere la propria individualità, accettare la paura di affacciarsi sul precipizio per vedere oltre, dove gli altri non arrivano a sporgersi.

Quello che inizialmente sembrava essere un inferno è diventato il suo posto sicuro, l’unico in grado di farlo sentire tranquillo. È fuori che le cose si faranno difficili. “Io c’ho pure un po’ paura a tornà là fuori” dice Daniele. Ogni volta che dobbiamo lasciare, per forza o per scelta, una delle tante comfort zone che ci siamo creati nella nostra vita; per rischiare di vivere anche fuori, tra la gente, che può far paura più del buio dei ricoverati. Ed è proprio in questo momento che ci chiediamo “E adesso?”.

Questa serie ci fa capire che l’apparenza inganna, che molte persone sembrano perfette da fuori, ma dentro vivono in un caos tremendo. Perché visto da vicino nessuno è normale.

Il finale, il momento in cui Daniele e Nina sono per mano davanti alla piscina; questa scena ci fa capire che la vita è un casino, la nostra mente lo è ancora di più, ma abbiamo capito anche che insieme tutto si affronta meglio. E allora stare bene vuol dire provare a darsi la mano e saltare, fare quella cosa di cui prima si aveva paura. O anche fermarsi e scegliere di non farlo, perché non tutti i salti nel vuoto, nella vita, vanno fatti subito. L’importante è esserne consapevoli, conoscere le proprie paure e i propri limiti, conoscere i propri punti di forza. Avere qualcuno a cui dire tutte queste cose. In una parola, condividere. E allora non è importante saltare o meno, ma essere lì, uno accanto all’altro. Non farti raccontare il mondo da nessuno, ma vivilo anche sbagliando.

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