Di Luca De Lellis.

Ora ha un po’ meno paura. Quell’orologio che da oggi la protegge non è soltanto un dispositivo in grado di richiamare l’attenzione delle forze dell’ordine, ma soprattutto un modo per sentirsi meno sola, meno stritolata da quel vortice di violenza fisica e psicologica perpetrata dal suo ex marito. E questo ha un valore incalcolabile, perché ha il sapore della libertà, significa rinascita. La ragazza è di Napoli, ha 36 anni, e una voglia matta di ricominciare daccapo. In fondo, da quelle parti, basta poter uscire di casa per ascoltare il rumore del mare e riconciliarsi con se stessi.
Con il nuovo smartwatch antiviolenza al polso e il pulsante magico che, in caso di necessità, fa mobilitare direttamente i carabinieri di una centrale del capoluogo campano. “Sono contentissima” ha detto entusiasta la donna, peraltro mamma di due figli. Un sorriso innocente sul volto e il pensiero di essere forse finalmente evasa dall’incubo. “Ora posso uscire più serena e tranquilla dopo mesi e mesi trascorsi rintanata in casa. Grazie a questo orologio mi sento protetta. È vero, devo rinunciare alla mia privacy, ma è un prezzo che sono disposta a pagare”. Con la geolocalizzazione sempre attiva ogni movimento è monitorato, ma è l’unica soluzione per rintracciare la posizione e intervenire rapidamente.
“Mobile Angel” si chiama il progetto che ha partorito questo smartwatch, ed è stato voluto dall’Arma dei Carabinieri di Napoli insieme con la Sezione fasce deboli della Procura della Repubblica partenopea, la Fondazione Vodafone Italia e la Soroptimist International Club Napoli. In effetti quell’orologio è a suo modo un piccolo angelo custode. O, se vogliamo, una comfort zone mentale nella quale rifugiarsi quando la testa strilla e il cuore batte più forte per la paura. Ce ne saranno in tutto 45 in questa prima tranche di distribuzione, che aiuteranno altrettante donne vittime di abusi e maltrattamenti.
La prima ragazza a ricevere il device ha passato quello che nessuno dovrebbe mai passare. Minacce di morte, ma non solo. L’uomo avrebbe voluto anche sfregiarla sul volto con l’acido. E se vivere nel terrore significa morire un po’ dentro, una fiammella di speranza ora si è riaccesa. Parole sue.