Di Cristian Miglietta. Siamo tutti figli di Stonewall. La rivoluzione sessuale iniziata nel 1968 ha coinvolto non solo coloro che non rientrano nell’eteronormatività, ma anche chi fa parte di quella maggioranza soffocata da antichi e simili tabù sessuali. In un mondo dove ancora settantadue paesi dichiarano qualunque forma di non-eterosessualità illegale, punibile addirittura con la morte, è importante conoscere e rivendicare i significati di LGBTQIA+. Perché il pericolo oppressore non viene solamente da fuori, ma anche da dentro: numerosi sono i gruppi di attivismo che escludono parte delle minoranze nel riconoscimento dei diritti, come la LGB Alliance, immaginando che allontanare qualcuno dalla competizione faccia arrivare primi.

Le prime tre lettere, che hanno formato i primi acronimi negli anni Novanta, derivano dall’unione di Lesbica, Gay e Bisessuale, rispettivamente donne attratte dallo stesso genere, uomini attratti dallo stesso genere e persone attratte da due o più generi. Già ferventi attivisti dagli anni Sessanta, nei primi anni 2000 si unì la T di Transessuale, quelle persone che non si identificano nel genere assegnato alla nascita. Negli anni si è unita la Q di Queer, un insulto rivendicato dalla comunità stessa e che indica chiunque non si ritenga parte della società eteronormativa, ma anche di Questioning, traducibile con “interrogantesi”, ovvero quelle persone che stanno facendo un percorso di riflessione sulla propria identità di genere o sul tipo di attrazione provato. C’è poi la I di Intersessuale, le persone nate con caratteri sessuali non riconducibili al binarismo maschio-femmina, e la A di Asessuale e Aromantico, cioè quelle persone che provano attrazione sessuale o romantica verso nessun genere.

Dopo le lettere c’è quel simbolo, il “più”. Rappresenta la promessa di uno studio su sé stessi in continua evoluzione. Sta lì a dire che l’elenco non si ferma. A molti possono sembrare termini eccessivi, delle etichette futili, ma queste aiutano delle persone a ritrovarsi nelle esperienze altrui, a condividere momenti della vita in cui ci si è sentiti soli per capire che soli non lo si è mai stati. Ad alcuni questo non è concesso, perché magari vivono in uno di quei settantadue paesi dove l’eteronormatività è legge e il dissenso è morte. Solo riflettendo sulle parole, sul desiderio di libertà e su quella rabbia che portò Sylvia Rivera a lanciare la prima bottiglia a Stonewall si può impedire che le grida degli oppressi svaniscano come se scritte nell’acqua.

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