Di Carmela Nuzzolese. I temi che riguardano la cosiddetta comunità LGBTQ+ sono argomenti attuali di grande rilievo, oltre ad essere fonte di numerose polemiche che colpiscono diversi ambiti che vanno da quello sociale a quello politico. Noi oggi abbiamo deciso di intervistare una ragazza trans con lo scopo non solo di far luce su quella che è la vita di una donna trans, su quali sono i suoi sogni, le sue ambizioni, ma, soprattutto, per dimostrare che essere trans non è sempre qualcosa di passeggero, non è la nuova moda del momento, anzi, è una situazione che, di fatto, potrebbe verificarsi in chiunque non si identifichi nel genere che gli viene assegnato alla nascita.

Benvenuta Alessia (nome di fantasia), grazie per aver accettato il nostro invito.

– Cosa vuol dire essere trans?

Trans vuol dire genericamente identificarsi nel sesso opposto a quello biologico, ci sono però diversi modi in cui si intende il termine: “transessuale” e “transgender”. La persona transessuale è quella persona che non ha ancora intrapreso un percorso di riassegnazione del genere, ovvero non ha iniziato ad assumere ormoni. La persona transgender, invece, è quella persona che ha affrontato un percorso ormonale. Per quanto mi riguarda, essere trans significa avere coraggio e tanta voglia di vivere.

– Una persona transessuale è attratta da persone del “nuovo” o del “vecchio sesso”?

L’orientamento sessuale non ha a che vedere con l’identità di genere, quindi una persona trans può essere attratta da uomini, donne, persone non binary o da nessuno.

– Cos’è il dead name?

Il dead name è il nome anagrafico, cioè il nome che mi è stato assegnato alla nascita in riferimento al mio sesso biologico.

 

– In cosa consiste il percorso di transizione?

Il percorso di transizione si divide in tre fasi: fase psicologica, fase ormonale e, a scelta, la fase delle operazioni. La fase psicologica è veramente importante perché porta a capire se nella persona è presente la disforia di genero oppure no. È rappresentata da un percorso psicologico personale affrontato con un professionista che può durare dai sei ai dodici mesi e può avvenire in modalità pubblica o privata. Una volta che il professionista si accerta che nella persona c’è la disforia di genere, si passa alla seconda fase: c’è l’incontro con un endocrinologo che, attraverso una serie di esami medici, consiglierà la terapia ormonale più adatta alla persona. Gli ormoni vanno presi a vita. Infine abbiamo la fase delle operazioni chirurgiche, queste non sono obbligatorie, quindi la persona può decidere se effettuare o meno gli interventi.

– Quando hai capito di avere un’identità sessuale opposta al tuo genere?

Sin da piccola mi piaceva tutto ciò che riguardava il mondo femminile, ero sempre in compagnia di bambine e adoravo guardare mia mamma truccarsi e indossare abiti lunghi e pensavo: “perché non posso farlo anche io?”. Col tempo questa sensazione si è intensificata e, guardando le mie compagne di classe, a cui cresceva il seno e assumevano tratti femminili, mi chiedevo spesso perché non fossi nata bambina. Gli anni sono passati e, all’età di diciotto anni, mi sono resa conto definitivamente di non stare bene nel mio corpo. Da lì ho iniziato a truccarmi, a vestirmi in modo femminile e mi sono convita di voler affrontare il percorso di transizione.

– Hai mai subito atti di bullismo?

Sì, in prima media. Mi prendevano in giro, ma ho subito chiesto aiuto alla mia famiglia e il problema si è risolto.

– Hai mai fatto coming out?

Sì, ho fatto coming out prima come omosessuale e poi come ragazza trans. La prima persona con cui ho fatto coming out è stata mia cugina che mi ha subito supportata ed accettata. Dopodiché l’ho detto alle mie amiche e anche loro sono state di supporto. Infine, ho fatto coming out a scuola, ma non l’ho fatto in modo tradizionale, l’ho fatto con stile durante l’assemblea d’istituto di Natale del quinto anno di scuola. Era in programma una sfilata, e ci ho partecipato con abiti femminili ricevendo complimenti da tutti, compresi i professori.

 

– Cosa ne pensi del fare coming out?

Penso che fare coming out è una scelta strettamente personale, deve essere dettata dalla libertà dell’individuo e non deve essere imposta. Io personalmente non sono contraria al coming out e non capisco come possa rappresentare per altri una fonte di costrizione. Credo, però, che sia sbagliato fare outing, ovvero il fatto che terze persone che sono a conoscenza dell’orientamento o dell’identità sessuale di una persona lo dicano ad altri senza consenso e al solo scopo di discriminare.

 

– Credi sia difficile trovare l’amore per una persona trans?

Sì, credo che sia difficile, nella società odierna, che una persona trans possa essere amata proprio perché ci sono molti stereotipi, soprattutto sulle donne trans. Molti uomini, infatti, vedono la donna trans come oggetto di perversione sessuale e non come una persona di cui potersi innamorare.

– Cosa diresti a persone che si trovano nella tua stessa situazione, ma hanno paura di essere giudicate?

Siate liberi di essere voi stessi perché le persone giudicheranno a prescindere. Bisogna fregarsene a andare avanti a testa alta, solo con l’amore e con la conoscenza si possono sconfiggere l’odio e l’ignoranza.