Di Edoardo Cafaro. Nella maggior parte dei casi, giocatori, allenatori e dirigenti sono sotto l’occhio del ciclone, ma, tranne in alcuni casi, si sbaglia nel non porre l’attenzione e i riflettori su un altro compenente dei risultati complessivi, ovvero sui presidenti. In particolare, negli ultimi anni, si sta verificando un abbassamento esponenziale della resa dei patron italiani, a discapito di quelli stranieri, i quali, anche con dei fondi extra, si impongono maggiormente. Analizzando dapprima le piazze più illustri del calcio italiano, sono senz’altro esempi virtuosi gli operati di Inter, Milan, Roma e Fiorentina, rispettivamente capeggiati da proprietà cinesi o americane. Tornando sull’attualità, invece, il capolavoro del Bologna in questa annata è anche frutto, oltre che dell’abilissimo direttore sportivo Sartori, anche della gestione di Joey Saputo, altro presidente americano. Per quanto concerne l’Italia e i patron Italiani, invece, l’andamento imprenditoriale di queste figure sta scemando lentamente in un percorso che inizialmente faceva ben sperare: l’esempio più eclatante, di questa debacle, è il Napoli di Aurelio De Laurentiis. Il club partenopeo, campione d’Italia nella scorsa stagione, ha sbagliato ogni scelta possibile: in particolare, De Laurentiis ha eccessivamente gonfiato il petto per il traguardo ottenuto, lasciando partire a cuor leggero pilastri della cavalcata vincente, non rimpiazzandoli adeguatamente e mostrando alla propria piazza un attuale nono posto che incendia, negativamente, gli animi partenopei. Allo stesso modo, in una cornice più ridimensionata, c’è il caso di Salernitana, Udinese e Sassuolo: la prima, salita in Serie A da pochi anni e con il decimo monte ingaggi della competizione, è matematicamente condannata alla Serie B, e, anche in questo caso, è guidata da una proprietà italiana, sotto il nome di Iervolino. Non è estraneo al discorso, invece, il Sassuolo: i neroverdi, infatti, dopo annate convincenti, di scouting e di accrescimento del proprio valore, registrando sempre un bilancio in attivo, quest’anno hanno adoperato un vero e proprio disastro e, per il momento, sono condannati alla retrocessione. Sulla stessa falsariga, ma per più anni, c’è l’Udinese, la quale nelle ultime annate ha dondolato nelle basse latitudini della classifica, e, ancora una volta, la guida massima è della famiglia Pozzo, ancora nel segno del made in Italy. Un tema che risuona oggi più che mai e che, in maniera lampante, fa pensare che un mix di proprietari stranieri, coadiuvati da dirigenti italiani, possa essere la giusta equazione vincente, come già ampiamente dimostrato.