Di Luca Iglio. Una qualsiasi forza politica che voglia guardare al domani deve necessariamente parlare con i giovani. Non solo parlare però, anche ascoltare e poter cogliere eventuali punti di riflessione. Sia chiaro, molti partiti mettono al centro della propria campagna elettorale l’idea di ascoltare i giovani, ma nel concreto questo avviene in maniera molto marginale, se non quasi inesistente. Non bastano certo alcuni video improvvisati su TikTok (come abbiamo assistito alle recenti elezioni politiche) per arrivare dentro ai molti giovani che pur interessandosi di politica, tendono ad allontanarsi subito dopo non trovando un effettivo riscontro delle proprie idee e delle proprie convinzioni, per cui lottano e si mobilitano. Se per molto tempo si è giudicati i giovani come una generazione superficiale, capace solo di stare sui social network e appagata solo da quest’ultimi, dovremmo anche considerare un aspetto che molto spesso viene tralasciato: il fatto che questi giovani hanno saputo, e che tutt’oggi continuano, mobilitarsi nelle piazze per portare avanti le proprie idee, siano esse condivisibili o meno. Ma in un’epoca di scarsa partecipazione politica, come quella in cui stiamo vivendo oggi, non è sicuramente un punto irrilevante. Se guardiamo i dati, però, tutto questo interesse sembra scemare. Nel 2018 è stato istruito il Consiglio nazionale dei giovani, dove una rappresentanza di giovani si trova ad interloquire con le istituzioni. Tuttavia torniamo al problema che sta all’origine, ovvero quello che l’ascolto della classe politica è fortemente limitato, e ci troviamo ancora ben lontani da un’inversione di rotta nel binomio giovani e politica. Oltre ad analizzare meri numeri però, nessuno si è mai soffermato sulle reali motivazioni. Eppure facendo qualche intervista ai giovani, il problema che viene ripetuto principalmente è quello dei seggi dei fuori sede. Questi ultimi non possono votare se non tornano nella loro città, e spesso il rientro nella propria città risulta difficile sia da un punto di vista logistico che da un punto di vista economico; dunque preferiscono rinunciare al voto. Eppure sembrerebbe un problema facilmente risolvibile, che sicuramente farebbe aumentare l’affluenza al voto degli Under 25. La parti politiche però non sembrano interessarsene troppo e continuano a lavorare su altri aspetti. Troppe volte sentiamo incolpare i giovani all’astensionismo, che altro non è che un modo per non affrontare un problema enorme: non solo si continua ad ignorare il problema dell’astensionismo involontario, ma si colpevolizzano gli stessi giovani di non interessarsi alla politica. Dovremmo chiederci se la classe politica si stia occupando effettivamente del futuro dei giovani oppure no. Quel che è certo è che finché i giovani verranno trattati dalla classe dirigente come “adulti del domani” i cui problemi sono futuri, quest’ultimi non avranno nessuno stimolo di partecipare alla vita politica.