Di Giorgia Condito. Il “mansplaining” è un fenomeno che rientra nelle varie tipologie di discriminazione di genere. Il termine deriva dall’unione di ‘man’ (uomo) ed ‘explaining’ (spiegare), è una pratica perpetrata solitamente da uomini che,dissimulando il loro agire con toni bonari e paternalistici atti a mantenere una parvenza di politically correct, presumono di essere qualificati a spiegare (solitamente ad una donna) un concetto sul quale non necessariamente siano più ferrati del loro interlocutore di sesso femminile.

Il termine è nato nel 2008 a seguito di un saggio pubblicato da Rebecca Solnit intitolato Men Explain Things To Me nel quale l’autrice raccontava l’ormai celebre

episodio in cui un uomo pretende di darle lezioni su un tema a lei ben noto — Eadweard Muybridge ed il processo di industrializzazione del Far West —

consigliandole di leggere il libro di ‘uno scrittore importante’ non sapendo che lo ‘scrittore importante’ fosse la stessa Solnit.

La scrittrice Violetta Bellocchio ha proposto come traduzione italiana “spiegazione virile” e l’espressione “Amico Spiegazione” per gli uomini che fanno mansplaining, ma né queste formulazioni né altre hanno finora avuto successo.

Ovviamente non sono sempre e solo gli uomini a fare mansplaining nei confronti delle donne: per questo negli Stati Uniti si è cominciato a parlare anche di “whitesplaining“, quando un bianco, uomo o donna che sia, spiega qualcosa a un nero con lo stesso atteggiamento paternalistico e arrogante, anche se velato da una certa condiscendenza. Capita anche che il comportamento da mansplainer sia tenuto da persone di una certa età verso persone più giovani, anche colleghi di lavoro.

In aggiunta, è possibile racchiudere tra i casi di “mansplaining” anche le occasioni nelle quali un uomo utilizza un tono condiscendente e un linguaggio semplificato per illustrare un concetto ad un’interlocutrice donna, trasmettendo la propria sicurezza e la certezza che la donna alla quale si sta rivolgendo ne sappia meno di lui.

Tornando all’origine del termine,qual è la situazione in Italia riguardo la parità di genere? Secondo quanto riportato dall’EIGE, European Institute for Gender Equality, per l’Italia c’è ancora da lavorare su questo argomento. Infatti, come riportato nel Gender Equality Index, indice che analizza il livello di parità di genere nei paesi dell’Unione Europea assegnando loro un punteggio da 0 a 100, con il valore maggiore che indica una piena uguaglianza tra uomini e donne nel Paese analizzato, l’Italia ha ottenuto un punteggio di 65 per il 2022 ( la media UE è di 68.6, con una top 3 che presenta la Svezia al primo posto con 83.9, seguita da Danimarca (77.8) e Paesi Bassi (77.3) e le ultime tre posizioni occupate da Grecia (53.4), Romania (53.7) e Ungheria con 54.2 di punteggio finale). Il valore più basso ottenuto dall’Italia è quello del “Potere”, indicando uno scarso livello di parità di genere nelle posizioni di rilievo nella sfera economica, politica e sociale. Seguono gli indici di “Tempo” e “Conoscenza”, con i quali si fa riferimento al tempo speso per i lavori domestici e per le attività sociali e alla parità nel campo dell’educazione. Tra i settori nei quali l’Italia ha ottenuto i punteggi più alti è presente quello del “Lavoro” (63.2), il quale fa riferimento alla parità di opportunità di impiego e di buone condizioni lavorative tra uomini e donne, la “Disponibilità economica”(80.5) e la “Salute”(89), facendo riferimento rispettivamente alla situazione economica di donne in Italia in rapporto agli uomini e allo stato di salute.Tuttavia, è importante puntualizzare come nessun valore raggiunga il livello 100, a riprova della necessità di lavorare a fondo per ottenere una effettiva parità di genere in Italia, anche combattendo fenomeni discriminatori quali lo stesso “mansplaining”.