Di Giordano Tabì

Nome in codice “Il Pirata”: e non poteva che essere così per un ciclope del genere. Marco, un nome corto per un uomo dai lunghi distacchi. Noi preferiamo credere si chiamasse Alcinoo: e due o son poche per una meraviglia come questa. Una massa piccola e dalla testa lucida coperta da una bandana: Primo Carnera alla rovescia. Ma l’unico rovescio della “medaglia Pantani” è inevitabilmente quello vincente.

In occasione del quindicesimo anniversario della sua morte, vogliamo ricordare una delle figure sportive italiane che più hanno appassionato gli amanti dello sport, il mitico Marco Pantani, che con le sue salite e le vorticose discese ha coinvolto ed emozionato moltissime persone. Ha dato un significato nuovo alla bicicletta ed è riuscito grazie alle sue imprese da campione a farci rimanere incollati al televisore. E’ stato un campione sopra ma anche fuori la bicicletta ed ogni volta che è stato buttato giù ha sempre trovato le forze per rialzarsi e per combattere come un vero guerriero. Quella bandana ha significato lotta, coraggio e che nella vita non bisogna mai rassegnarsi neanche di fronte alle avversità più grandi. Il “Pirata”, come era soprannominato per via della bandana, si era contraddistinto per la sua potenza dirompente rispetto agli avversari, riusciva in salita a tenere un ritmo fuori dal comune, proprio per questo ancora oggi è considerato uno dei più forti scalatori della storia del ciclismo. Trovato positivo a dei controlli antidoping del 1999 Pantani cadde in una profonda fase di depressione. Tornato per ben due volte alla gare, non riuscì però a imporsi stabilmente sui livelli che aveva raggiunto prima della squalifica. Tritato sotto il ciclone mediatico, il “pirata” non riuscì ad isolarsi dai media e la sua fase di demoralizzazione sfociò in una profonda depressione. Forse non era stato in grado di reggere tutta quella pressione e così morì a Rimini il 14 Febbraio del 2004. Secondo l’autopsia la morte fu per intossicazione acuta da cocaina con conseguente edema polmonare e cerebrale, tuttavia la morte di Pantani ancora oggi 15 anni dopo non è chiara e molte questioni sono ancora avvolte nel mistero. La sua morte colse tutti alla sprovvista, eravamo talmente abituati a vederlo rialzare ed a combattere che sembrava quasi strano che questa volta non si sarebbe riuscito mai più a rialzare.

Spesso tendiamo a ricordare Marco Pantani solamente con l’episodio della sua morte, forse però lui non è stato amato come nessun altro sportivo. In un mondo come quello del ciclismo, che ha come più grande difficoltà il doping, Marco era straordinario, perché era diverso dagli altri, lo si vedeva subito che aveva una marcia in più, non era solo talento ma era anche tanto cuore e tanta grinta. Lui riusciva a gettare il cuore oltre l’ostacolo. In quel periodo storico quasi tutti i ciclisti si erano rifatti almeno una volta nella loro carriera al doping, probabilmente Marco compreso, ma lui era troppo forte dal punto di vista sportivo ma troppo fragile da quello mentale, ed in un mondo crudele, come quello del ciclismo a livello agonistico di quegli anni, conta sicuramente di più la testa. Nonostante ciò, quello che è riuscito a trasmettere Pantani non l’ha trasmesso mai nessun altro ciclista, abbiamo vissuto le sue gare con il cuore in gola. Il “pirata” era emozione pura, un vero campione che probabilmente ha anche vinto meno di quanto si meritasse, ed è riuscito attraverso la sua bicicletta a trasmettere tutto l’amore che provava verso questo sport. Nessuno dimenticherà mai le sue salite, sia quelle sportive che non, perché un campione, uno che ha scritto pagine importanti dello sport, non deve essere ricordato solo per le vicende della sua morte ma anche e soprattutto per tutto quello che ha dato per lo sport che amava e per tutta quella passione per la bicicletta che aveva sin da bambino ed è riuscito a comunicare facendo solamente la cosa che amava fare, pedalare.

 

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