Di Gemma Gemmiti. Continua il successo del laboratorio di redazione giornalistica a Tor Vergata. Lunedì 28 ottobre l’aula P21 era stracolma. Abbiamo dovuto prendere in prestito le sedie da altre aule. Dentro molti volti nuovi, e “colleghi” già conosciuti. Si chiude la porta e ci si confronta, mettendosi in discussione, aprendosi un po’.

“Vorrei insegnarvi ad essere giornalisti di vita” questo il mantra del prof. Marco Palma, dall’entusiasmo contagioso, speriamo come la sua professionalità indiscussa. E’ questo il secondo lunedì nel quale ci invita a “scoprirci”.

Il tema stavolta tocca davvero tutti: “Quando la difficoltà diventa impossibilità e mi fa soffrire”. Non è facile, non lo è. Perché accade spesso che gli ostacoli ci sembrino insormontabili e la voglia di fermarci prenda il sopravvento. Non per Belinda (nome di fantasia per una ragazza reale) che ci racconta di come un problema di salute abbia condizionato la sua vita fin dall’infanzia. Nascere senza tiroide comporta un rallentamento di tutti i processi metabolici dell’organismo. L’agenesia presenta sintomi che talora possono essere male interpretati e attribuiti ad esempio alla crescita, all’adolescenza, a periodi di stress scolastico. Stanchezza, sonnolenza, ipersonnia, bradicardia o tachicardia, irritabilità e disturbi dell’umore sono i segni delle più comuni malattie della tiroide. Lunghe degenze in ospedale prima di trovare il dosaggio giusto, assenze da scuola che avrebbero potuto minare la sua preparazione. Belinda si racconta in un ambiente capace di proteggere, dentro ad un’aula dell’università. Non sempre hanno capito le persone intorno a lei, non sempre. Le maestre (non tutte per fortuna) i compagni, i professori. La sua mamma, come una leonessa, la difendeva e la proteggeva riempiendola di libri per colmare i tempi lunghi delle attese, del viavai dei camici bianchi, delle flebo e degli esami clinici. Libri per riempire le assenze da scuola, letti insieme per sugellare il rapporto madre-figlia che resiste anche nelle difficoltà. Quando un bambino cresce anche in un ospedale acquista la capacità di vedere oltre. Oltre ciò che non si può fare ed è capace di inventare altre strade pur di raggiungere la meta.

“Non sarai mai capace di fare nulla nella vita, non sei all’altezza” e quelle parole che purtroppo le hanno detto ancora svolazzano in testa e a volte si posano a fare male. Altre volte si volatizzano, come lunedì, quando davanti a cinquanta persone Belinda è riuscita a dire chiaramente che non vuole etichette, non vuole compassione, che è fortunata perché per farla star meglio basta una pasticca. Altri non hanno la sua stessa fortuna. Belinda ci racconta di come supera la stanchezza dovuta all’agenesia con la volontà, la caparbietà dei suoi vent’anni. Con la sua voglia di costruirsi.

Sceglie di fare la giornalista, per questo è qui, in questo Ateneo attento all’individuo. Quando nasciamo siamo case da costruire. Ognuno sceglie la sua. C’è chi diventa condominio per ospitare amici; chi villetta per stare un po’ in tranquillità. Poi c’è chi sceglie di lavorare con le parole e allora diventa grattacielo altissimo, dalle pareti di vetro, per guardare fuori e per tenere bene in mente ciò che c’è dentro. Rispetto e umiltà.

Immagino la fatica di Belinda nel costruirsi piano dopo piano, con le fondamenta non troppo stabili, guardando il cielo e cercando di spingersi sempre un po’ più su. Immagino sua madre con le braccia piene di libri da donarle che diventano semi e metteranno radici per rafforzare quelle fondamenta che lei crede posticce e per creare stabilità con le parole.

Immagino il cielo riflettersi su quelle pareti di vetro, fiere e capaci di accoglierlo.

Immagino, o meglio vedo, una ragazza con gli occhi scuri di chi conosce la profondità del cadere e la volontà di rialzarsi, e ce la insegna.

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