Di Gemma Gemmiti.A protezione, come corazza. “Solo dentro posso essere me stessa e provare, perché no, ad essere felice”.
Dentro.
Fuori invece è un’altra storia. Una vita di incomprensioni, di discriminazioni, messe all’angolo, apostrofi. “Poi arriva lei e sorrido. Con lei posso essere me stessa, e non ho paura”.
Trema Rebecca (nome di fantasia per una donna che si inventa ogni giorno), mentre le lacrime le solcano il volto.
Una va a cadere sopra il foglio che stringe nelle mani mentre si racconta a noi, in un’aula che è diventata tesoro e scrigno di vita vera.
Bagna la parola Famiglia. È lì che nascono, purtroppo, le prime incomprensioni. È da lì che dovrebbero partire le prime rassicurazioni.
“Prendersi per mano in pubblico? Neanche a parlarne. E nel lavoro? Hanno saputo e ridono alle spalle. Ammiccano per chissà quale colpa. Ho una lettera scarlatta sulla fronte, una stella di Davide sul petto”.
Roma, anno domini 2019. Mi giro a guardare i volti di chi siede dietro di me, mentre mi risuonano nella mente parole d’amore:

“Se tardi a trovarmi, insisti,
se non ci sono in un posto,
cerca in un altro,
perché io son fermo da qualche parte ad aspettare te.”(WaltWhitman, Foglie d’erba)

E penso che spesso non è qualcun altro che aspettiamo, ma noi stessi, il nostro vero io, il modo di essere felici.
E allora voglio dire a Rebecca, e insieme a me lo gridano i vent’anni dei ragazzi con i quali condividiamo il Laboratorio di redazione giornalistica, che ce la faremo insieme a cambiare questo mondo dove il diverso (da chi poi ancora devo ancora capirlo) viene visto come una minaccia.

Lo cambieremo partendo dal fondo, non dalla superficie. Lo cambieremo cambiando coscienze.
Lo cambieremo anche aprendo un dibattito in un’aula che ha delle mura di protezione, proprio come la casa dove abitano Rebecca e Giulia, ma dove noi apriremo finestre, e porte, e sposteremo tegole fino a vederne il cielo.

E quest’aula diventerà pietra, che costruirà ponti al posto dei muri.

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