Di Mariateresa Palazzo. Da sempre tradizionaliste, le mafie sono custodi gelose del maschilismo e del sistema patriarcale. Le donne stanno sempre un passo dietro l’uomo. Ma la tradizione è messa a dura prova dalla modernità. Un’ambiguità evidente troppo spesso sfuggita alle autorità giudiziarie e all’opinione pubblica, che manifesta ancora un’allarmante cecità. Pur non entrando sempre a far parte formalmente delle organizzazioni mafiose, le donne risultano infatti sempre più decisive e rilevanti. Quasi fosse una sorta di emancipazione criminale. Usate, per molteplici affari malavitosi, perché da sempre circondate da quell’alone di impunità che le rende apparentemente insospettabili.
Nascere e crescere in seno ad una ‘ndrina significa farne parte senza possibilità di scelta alcuna.
Non è previsto nessun rito simbolico di iniziazione perché superfluo: le donne biologicamente legate all’organizzazione sono considerate fedeli ad essa per nascita e per natura. Fa parte delle leggi non scritte del codice mafioso.
Per una donna significa accettare il proprio ruolo di subordinazione: all’uomo, al boss, al sistema intero. Significa sposare un criminale scelto indiscutibilmente da altri. I matrimoni sono strategici, cruciali, tattici, simbolici. Pari a zero è la possibilità per la donna di assecondare i propri sentimenti; sotto zero la possibilità che il capofamiglia valuti la questione in questi termini. Da moglie esemplare di un marito che non ha mai scelto, la donna deve preservare la sua integrità attraverso un corretto comportamento sessuale. Se incapace di mantenere un controllo totale sulla propria donna, un uomo non potrebbe mai farlo su un intero territorio.
Tra i tanti doveri (e i pochi diritti) ha quello di procreare futuri uomini di mafia. Deve inculcare da subito ai propri figli il bagaglio culturale mafioso. Deve educarli alla violenza, alla vendetta, all’onore e alla stessa differenza di genere di cui è vittima. Le sue figlie dovranno imparare ad essere come lei: sottomesse e usate.
Usate. Soprattutto nei periodi di conflitto. E’ durante le guerre di mafia che esse vanno a colmare quei vuoti di potere. Si siedono sul trono del proprio marito ammazzato e incitano i propri figli alla vendetta. Nessuno deve restare impunito. L’onore offeso va vendicato con la morte.
Sono indispensabili per la continuità della ‘ndrina. Che si tratti di latitanza, arresto o morte dell’uomo. Portano avanti gli affari e il narcotraffico. Sono abili messaggere tra il carcere e l’esterno, danno assistenza ai latitanti, acquisiscono informazioni, occultano armi. Alle donne non sposate che si distinguono per particolari meriti viene dato il titolo di “sorelle d’omertà”. Sono madrine che favoriscono in prima persona le attività illecite del clan, sono corrieri e spacciatrici, sono prestanome, intestatarie di conti e patrimoni incommensurabili, di denaro sporco ed esercizi commerciali per il riciclaggio. Altre volte, sono fedeli compagne religiose che non fanno fatica a far coesistere nella stessa realtà la fedeltà a Dio e quella alla morte che amministrano ogni giorno.