Di Cristina Pantaloni. Derise, picchiate, private dei loro diritti, prese a calci, lasciate con il corpo colmo di lividi, ridotte a nulla, ferite a morte; parole forti, che fanno male solo a leggerle ma questa è la realtà che vede purtoppo protagoniste migliaia di donne ogni anno e in ogni parte del mondo. Si parla tanto delle vittime ma poco dei carnefici, gli uomini; ci si chiede perchè siano spinti a compiere simili gesti verso il genere femminile, cos’è che in loro va in crisi. Troppo spesso  si sente dire che la vittima se la cerca, ma “se l’è cercata” nel femminicidio non deve esistere, non si possono colpevolizzare le donne per colpe che non gli spettano. L’aggressività maschile usata in queste situazioni non può più essere coperta in nessun modo, questa va anzi messa alla luce. Si vive oggi in una società che ha da sempre costruito l’identità maschile su componenti come il controllo, la forza, e la supremazia; fin da quando si è bambini, raccontando la storia del principe che salva e protegge la fanciulla indifesa, l’uomo è abituato ad identificarsi in quel ruolo, per questo quando si trova davanti, nella relazione, la donna che lo supera in senso economico e sociale, sente dentro di sè l’impulso di dover far tornare le cose come egli stesso le conosceva, usando ciò che la stessa società gli ha da sempre tramandato, la forza e l’aggressività. La gelosia, la possessione verso la propria donna, e il senso d’inferiorità che ne deriva, quando questa decide di allontanarsi, altre emozioni che tendono a mandare totalmente in crisi l’uomo, portandolo ad agire, portandolo a diventare il carnefice della storia.