Di Francesco Stefanelli. Precursori del Nu metal insieme ai Korn, non ci volle molto prima che i Deftones, quartetto di Sacramento in California, si distaccassero da quella corrente per intraprendere il proprio cammino e divenire una delle band più iconiche degli anni 90. Dal successo del primo album Adrenaline del 95′ seguì un nuovo processo creativo che portò il gruppo californiano a partorire quel capolavoro generazionale che è Around the Fur, uno degli LP più criptici ma affascinanti del panorama alternative. Il lavoro svolto segue quel che già si era anticipato nel precedente album, mescolando le sonorità new wave anni 80′ insieme al caotico e disorientante shoegaze, all’alternative e al grunge tipico di gruppi come Alice in Chains e Soundgraden, il tutto corredato dalla malinconica e furiosa voce del frontman Chino Moreno, che è la vera protagonista dell’opera, dove si alterna tra momenti statici di calma serafica e tempeste di ira incontrollata. La parte strumentale completa il quadro complessivo, sorretto dalle distorsioni di chitarra di Stephen Carpenter e dalla sezione ritmica del basso acido e granitico di Chi Cheng e della batteria tuonante di Abe Cunningham. Il disco si apre con il primo singolo dell’album, My own summer. Un groove di batteria ci scaraventa all’interno di un mondo fatto di indifferenza, di personalità sfacciate, di incomprensione. Un mondo dove poter rigettare tutta la propria rabbia addosso ad una società che non vuole comprendere i problemi giovanili. Lhabia è una voglia di fuggire da questo mondo malato, ma l’unica via per farlo sembrerebbe essere il sesso. L’appetito sessuale è un qualcosa che va visto come l’unica emozione che può ancora trasmettere qualcosa nel vuoto emotivo che attanaglia l’anima. Mascara affronta il problema dell’incapacità di tenere una relazione sull’orlo del baratro e della sua capacità distruttiva nel momento della rottura, lasciando spazio alla rassegnazione di un qualcosa che c’è stato ma che non ci sarà più. Around the Fur pone sotto la lente il dualismo esistenziale delle celebrità, ovvero il rapporto tra forza d’animo e l’incontrollabile peso schiacciante della fama, e la titletrack in questione fa sì che verso gli ultimi istanti del brano si possa provare, attraverso l’urlo iracondo del cantante Chino, la rabbia verso la popolarità. La rabbia giovanile davanti a divieti ed imposizioni della società, all’ossessiva voglia di decidere delle sorti individuali da parte dei mass media danno luogo alla traccia Rickets, dove i Deftones tornano a propugnare quella strafottenza tipicamente giovanile. un chorus fluttuante in un mare distorto accompagna l’ascoltatore nel dramma interiore dell’ermetica Be quiet and drive (far away), dove si esorta ad abbandonare, a fuggire via da ciò che ci nuoce, non importa quanto lontano o quanto rechi dolore, basta che si raggiunga la pace. Lotion è il risultato di una vita composta da falsità, da facciate, di maschere che celano il disgusto verso quelle donne così superficiali che non hanno più neanche idea della loro ombra originale, affogate nella loro stessa lozione. Dai the Flu ricalca le tematiche delle precedenti canzoni, presentandoci il duro colpo allo stomaco di un amore non corrisposto, lasciato a metà. Headup è una collaborazione del gruppo con l’ex frontman dei Sepultura Max Cavalera, dove egli estrapola il dolore della perdita del suo figliastro Dana, morto a 21 per un incidente stradale, in un grido malinconico saturo di rabbia verso una vita spezzata così  precocemente. MX chiude in definitiva la parabola “della mia estate”, presagendo come una vita vissuta non pienamente inseguendo intenti grigi possa irrimediabilmente far crollare chiunque in un baratro senza fondo.

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