Di Beatrice Ponzo. Poter staccare i piedi da terra sconfiggendo ogni timore diventa più importante della propria sicurezza ma purtroppo una conseguenza può essere cadere rovinosamente: è il caso di alcuni diciassettenni dell’Astigiano che poco più di una settimana fa, erano alle prese con evoluzioni di parkour sul tetto di un edificio abbandonato e uno di loro è precipitato al suolo da 5 metri di altezza, venendo subito ricoverato in ospedale.

Esistono principalmente due tipi di persone, uno opposto all’altro: gli scettici e gli ottimisti. I primi hanno paura a fidarsi del nuovo perchè non pensano di essere abbastanza forti da poterlo accettare; i secondi sono più inclini a vedere il bicchiere mezzo pieno e vanno continuamente a caccia a di novità. Non dirò che nella vita bisogna essere l’uno o l’altro ma anzi occorre trovare un equilibrio man mano che andiamo avanti con le nostre esperienze, il che non è facile.

Essere adolescenti, ad esempio, significa essere ottimisti, abbracciare il mondo e tutto ciò che ha da offrire, talvolta rasentando l’ingenuità. Ciò può rappresentare un rischio per coloro che desiderano solo sprigionare “l’ormone della paura”, più comunemente detto “adrenalina”, scegliendo di dedicarsi ad attività e/o sport estremi come il parkour, consistente nel superare qualsiasi ostacolo nel modo più fluido possibile.

Sport del genere prevedono una conoscenza approfondita della tecnica di ogni mossa e non possono essere praticati in ogni dove senza un minimo di esercizio preliminare in palestre dedicate ma questo a quei ragazzi non interessava: l’ormone della paura non solo aveva risvegliato i loro sensi ma li aveva anche spinti a superare i propri limiti. La notizia dell’accaduto ha automaticamente diffuso il terrore del parkour, neanche fosse un virus da fermare, quando anche lo sport più tranquillo, se non svolto in sicurezza, può rappresentare un rischio per chi lo pratica. Ma questo sembra essere irrilevante quando si parla di parkour soprattutto perchè trattandosi di un’attività seminuova, nata e cresciuta per strada, viene vista con occhi scettici da qualsiasi genitore. Il che è un gran peccato perchè essere traceur (praticante di parkour) significa diventare un “sensation seeker” ossia “cacciatore di emozioni” in quanto l’allenamento di settimane, mesi per riuscire ad eseguire alla perfezione un salto o un percorso costituito da vari ostacoli include una scarica di adrenalina dalla testa ai piedi durante l’esecuzione degli stessi. Dal canto loro però i traceurs non tralasciano la sicurezza e studiano ogni mossa nel dettaglio e questa è la differenza che li contraddistingue da un praticante amatoriale che si limita a voler riprodurre quel salto nel vuoto visto per caso su YouTube.

La generazione parkour non è in pericolo se si impara ad adottare tutte le precauzioni necessarie affinchè non accadano più incidenti tra giovanissimi e non si sparga ancora di più la paura infondata per questo meraviglioso sport estremo, capace di trasmettere tanto ma allo stesso tempo togliere tutto se preso con troppa leggerezza.

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