Di Chiara Giacomini. “Era una famiglia così unita”, “una coppia così bella” o, ancora, “non mi è mai sembrato che qualcosa non andasse”. Sono questi i primi pensieri che la maggior parte delle persone elabora subito dopo essere venuti a conoscenza del fatto che un marito,  uccide brutalmente quella che doveva essere la persona che affermava di amare. Pensieri che fanno riflettere su come la visione dell’uomo non venga mai del tutto modificata ma, anzi, si arrivi a trovare degli alibi, dei capri espiatori che faranno ricadere parte della colpa sulla donna che non sarà più la vittima, ma qualcuno che poteva evitare di compiere determinate azioni per non istigare il compagno a compiere quell’atto che, a quel punto, diventa quasi legittimo; ci si domanda, quindi, con stupore come si possa anche solo lontanamente arrivare a pensare di potersi rifare una vita dopo il divorzio, dato che ad alcuni appare un fatto così scabroso e inconsueto.                                               “L’amavo troppo per poter sopportare che fosse felice con qualcun altro che non fossi io”, e spaventa terribilmente questa concezione malata del “troppo amore”, perché è impensabile uccidere una persona che si è detto di amare alla follia.        La conseguenza è semplice e purtroppo implica una visione così sbagliata e distorta della donna che viene rappresentata non più come una persona libera e indipendente, ma inizia ad appartenere all’uomo che vuole sminuirla ad oggetto e renderla una sua proprietà come se fosse una casa, un’automobile o tutto ciò che non ha vita propria e che deve essere, quindi, gestito da altri.Ma, attenzione, ricordiamoci che è di una persona che stiamo parlando, di una persona come tante che prima di essere moglie, fidanzata o compagna è donna e tale deve rimanere; non può e non deve essere derubata della sua identità. Quindi la famosa domanda che negli anni ha rappresentato un movimento di manifestazione, di indignazione e di rifiuto: è normale che sia normale?