D Chiara Giacomini L’uomo è predatore e la donna è la sua preda. È questo ciò che molto spesso si va dicendo. Negli anni si è arrivati a normalizzare questo concetto malsano del “è sempre successo, succedeva anche ai miei tempi”. Bene, forse è necessario cambiare questa visione errata della concezione femminile. Lavarsene le mani con un semplice “se l’è cercata” appare così facile e allo stesso tempo così complesso; ma dobbiamo indagare, scoprire cosa c’è dietro quest’espressione che risulta essere, purtroppo, così diffusa e sulla bocca di chiunque. Questo, permettiamoci di chiamarlo, “fenomeno” ha un nome: victim blaming. In sostanza, la vittima viene colpevolizzata per ciò che le viene fatto, per quello che subisce. Una donna viene uccisa dal marito perché lo ha lasciato? La colpa è sua perché ha chiesto il divorzio. Qualcuno le fa un complimento non richiesto? Beh, poteva mettere un vestito più coprente. Questi sono solo due delle migliaia di esempi che si potrebbero fare. Può sembrare assurdo ma è così, ci si è “abituate” a questo modo di fare e noi donne possiamo comprendere bene il peso della parola “abituate”. Ci siamo abituate a sentirci dire questo piuttosto che quest’altro. Ci siamo abituate a sentirci violate. Ma questo non vuol dire che non facciamo nulla per evitare che accada; ci ribelliamo, manifestiamo per i nostri diritti e per qualcosa che ci dovrebbe essere concesso solo in quanto persone ma che, purtroppo, in quanto donne ci vediamo negato. Siamo tante, più o meno 3,64 miliardi, questo vuol dire che nel mondo ci sono circa 3,64 miliardi voci di donne che parlano ad alta voce, a bassa voce, donne che vorrebbero parlare, gridare o sussurrare. Non abbiamo colpe, nessuna di queste 3,64 miliardi di donne ne ha, siamo libere e se qualcosa ci sfiora contro la nostra volontà non sarà mai colpa nostra, abituiamoci a questo.

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