A cura di Giorgia Rinaldi. Immaginate di stare con la persona della quale pensate di potervi fidare ciecamente, di condividere con lei ogni piccolo dettaglio di voi stessi, ogni istante, ogni lato più oscuro e la parte più intima di voi. Immaginate di fidarvi così tanto, che durante un rapporto sessuale decidete di imprimere quel momento per sempre, perché magari l’idea di poter rivedere un momento così magico piace ad entrambi. Immaginate di guardare negli occhi la vostra persona, alla quale pensate di poter donare la vostra parte più riservata e immaginate di promettervi a vicenda che quel momento magico, intenso e così passionale, anche se filmato, rimarrà sempre tra voi. Immaginate poi una volta finita la magia, di rivedere quel video online, visibile agli occhi di tutti, completamente privati della propria privacy, rubati della propria reputazione. Immaginate di vedere il proprio corpo e la propria discrezione come una merce di scambio, tra gruppi e utenti online. Ciò di cui parliamo senza alcun scrupolo, è la pornografia non consensuale, ovvero la diffusione di materiale fotografico privato a sfondo sessuale senza il consenso di chi è presente, che se fatto per vendetta prende il nome di “revenge porn”. Un fenomeno dal quale nessuno può ritenersi esente, perché non lo si può risolvere pensando semplicemente “di fare più attenzione” o di “non fidarsi così facilmente” per essere immuni a questo tipo di violenza. Perché si sa, quando si pensa di aver trovato la propria persona si è disposti a fare di tutto. Quando credi di poterti fidare completamente di quella persona, pensi di poter andare ad occhi chiusi e di donare tutto ciò che sei, nessuna parte esclusa. Purtroppo, però, potresti ritrovarti stritolato in una spirale di violenza con conseguenze psicologiche e a livello sociale. Lo si è potuto constatare dalle innumerevoli vicende di cronaca, a partire da Tiziana Cantone la quale vita è stata messa completamente in piazza nel 2016 dopo la divulgazione di un video su un portale di contenuti pornografici, durante un suo rapporto sessuale che presto divenne virale, costruendo un personaggio intorno a lei con pagine Facebook, meme, parodie, canzoni, fotomontaggi, gadget fino ad arrivare al suo isolamento, alla rinuncia al suo impiego e al suo suicidio, ritrovandola impiccata. Basti pensare anche tra le vicende più note e recenti, quella della maestra di Torino che nel 2020 ha visto divulgati i video privati, inviati al suo allora fidanzato, sulla rete, senza il suo consenso. Una vicenda aberrante a causa della condotta del compagno e del comportamento della Dirigenza della scuola, presso la quale la maestra svolgeva regolarmente la propria professione, che ha deciso di licenziarla iniziando così una ricerca al colpevole, senza capire chi fosse realmente l’antagonista della situazione. Incolpare la vittima non può essere ammissibile, perché sono queste le pratiche che incentivano la cultura dello stupro virtuale perché anche se in maniera telematica, è di stupro che si parla. Più persone ritengono le vittime responsabili di ciò che è accaduto e spesso inducono la vittima stessa ad auto colpevolizzarsi, ma la colpa non può essere attribuita a chi, accecato dall’amore, decide di regalare sé stesso. Non può essere colpevolizzata la massima fiducia, tanto meno l’amore più estremo. Proprio per questa ragione in Italia i ministeri di Giustizia e Interno stanno lavorando sulla formazione di giudici e forze dell’ordine per rendere più efficaci gli interventi, creare reti di protezione e prevenire i reati. Fortunatamente, a partire dal 2019, è entrata in vigore la disciplina del reato “revenge porn” con il nuovo articolo 612-ter del Codice penale, la quale pena prevista è la reclusione da uno a sei anni e la multa da 5 a 15mila euro. Nonostante le pene previste, una violenza come il revenge porn rimane impunita, perché nessun provvedimento, nessuna reclusione e nessuna multa potrà restituire la privacy di chi è una vittima. Nessuna pena può evitare la gogna, gli insulti, l’esposizione pubblica e nessuno può restituire alla vittima la vita che aveva prima. Ma la battaglia culturale ha appena avuto inizio; negli ultimi anni molte sono le organizzazioni o le associazioni no-profit come “Permessonegato” che si sono attivate per dare sostegno tecnologico alle vittime di violenza online, di diffusione non consensuale di materiale intimo e di attacchi di odio. Una battaglia culturale che ognuno nel proprio piccolo deve continuare e non deve alimentare.