Di Irene Orlando. Una patologia scoperta nel 1987 che a distanza di 34 anni risulta ancora difficilmente diagnosticabile: la vulvodinia. Una ‘malattia invisibile’ che solo in Italia colpisce circa il 15% della popolazione femminile, una malattia non ancora riconosciuta dal SSN. La vulvodinia è un dolore cronico a carico della vulva e dei tessuti che circondano l’accesso alla vagina, può manifestarsi come bruciore, prurito o dolori lancinanti. Spesso questa patologia si presenta in comorbilità con altre patologie come endometriosi, cistite e fibromialgia. Nelle forme più acute il dolore risulta invalidante al punto di impedire lo svolgimento delle normali attività quotidiane. Lucia Scanu, deputata del M5S, lo scorso Aprile presentò in parlamento una proposta di legge sulla patologia; evidenziando le difficoltà che le donne che ne soffrono sono costrette ad affrontare giornalmente. Mediamente ci vogliono dai 5 agli 8 anni per ricevere una diagnosi: sui problemi e le patologie legate al sistema urogenitale femminile vige un tabù radicato e ramificato e risulta dunque difficile combatterlo anche nel campo medico. Centinaia di medici paragonano la malattia ad una ‘fobia del sesso’, arrivando quasi a normalizzare i dolori durante i rapporti sessuali; bollando le pazienti come delle bugiarde ansiose. Al dramma dell’invisibilità si aggiungono i costi delle visite specialistiche, terapie e farmaci che sono a carico delle pazienti, perché nonostante le proteste e le battaglie la vulvodinia non rientra tra i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) che garantirebbe alle donne l’esenzione dalla spesa sanitaria. Chi non gode di privilegi economici non può quindi accedere alle cure, finendo col convivere con la malattia; convivenza che si riflette anche sul quadro psicologico: spesso chi soffre di dolore pelvico cronico soffre anche di depressione o ansia. Lo scorso 12 Novembre presso il Centro Congressi a Roma, è stata presentata la proposta di legge per riconoscere la vulvodinia e neuropatia del pudendo come malattie croniche invalidanti, ne consegue quindi il loro inserimento nei LEA, nonché la possibilità di richiedere l’invalidità all’INPS e il diritto al lavoro e allo studio. Se il sistema non garantisce la tutela sanitaria di una ‘malattia invisibile’ anche dei diritti fondamentali vengono meno. Il problema è medico, sociale e politico.