Di Irene Orlando. Violenza non è solo un occhio nero. Violenza significa superare un limite, che è quello della volontà individuale. Niente di più semplice, non è un qualcosa di fraintendibile e riguarda, in particolar modo, tutta la nostra soggettività. Allora perché è così difficile da capire? La cultura in cui viviamo non ci insegna il rispetto della volontà altrui o a vivere l’affettività in maniera serena. La violenza più frequente è quella psicologica; non è circoscritta alle sole relazioni amorose: in famiglia può essere uno dei genitori che disapprova ogni azione del figlio, nella amicizie quella persona che sminuisce costantemente i traguardi degli altri. Critiche piccole ma costanti, continue e disarmanti. Il termine ‘gaslighting’ deriva da un’opera teatrale del 1938 di Patrick Hamilton e dal suo adattamento cinematografico ‘Gas Light’. Gregory Anton manipola la moglie Paula fino a farla dubitare di sé e della sua realtà, con l’obiettivo di farla interdire come malata di mente e, una volta ottenuta la sua custodia in manicomio, appropriarsi dei gioielli di famiglia. Da qui deriva il termine come lo intendiamo oggi: la vittima, in seguito ad una manipolazione graduale, inizia a sentirsi confusa, sbagliata, paranoica, crede di stare impazzendo; arrivando spesso ad isolarsi. Il manipolatore lavora a livelli emotivi molto profondi, riuscendo man mano ad annullare le capacità di giudizio della vittima stessa, che tende spesso a giustificarlo. L’abusatore inizia a esercitare il proprio potere partendo dal love bombing, facendo leva sulle fragilità emotive della preda per poi rivelare la propria natura una volta consolidata la relazione: un torturatore che promette affetto e cura senza i quali diventa impossibile sopravvivere. Il gaslighter indossa costantemente una maschera: è alienato da sé stesso, vittima dei suoi stessi schemi; per questo è incapace di provare empatia o interesse verso gli altri. Un Arlecchino vestito di ritagli colorati secondo i vari disturbi; ogni ritaglio è a sé stante. La manipolazione si concretizza solitamente in tre fasi distinte. La comunicazione viene distorta ed è spesso caratterizzata da silenzi ostili che portano la vittima a sentirsi confusa; quest’ultima cerca quindi di venirne a capo instaurando una sorta di dialogo che possa cambiare radicalmente l’atteggiamento del manipolatore che finisce per uscirne dominante. La vittima inizia ad assecondare i comportamenti del suo aguzzino rendendosi inconsapevolmente complice: la violenza diventa così cronica e all’ordine del giorno.  Questo fenomeno è a tutti gli effetti un abuso psicofisico il cui fine ultimo è quello di umiliare e logorare l’autostima e la salute mentale di chi si ha davanti. Come tante pratiche, anche questa costituisce quella violenza di cui tutti dovrebbero prendere consapevolezza e combattere ogni giorno. Questo è possibile solo se si inizia a smantellare la cultura dal basso. Partire dall’educazione è fondamentale, bisogna parlarne e bisogna farlo soprattutto nei luoghi della formazione. Il gaslighting e la violenza psicologica non vengono purtroppo identificati come reati a sé, ma sono collegati ad altre forme di reato: violenza privata, minaccia e stalking ed è importante denunciarli per ricevere aiuto e per concretizzare quei fenomeni che passano ancora in secondo piano.