Di Luca De Lellis. Dodici anni. È il tempo trascorso dall’assegnazione dei Mondiali al Qatar (nel dicembre 2010) all’inizio della manifestazione più controversa della storia del calcio (20 novembre 2022). Nel frattempo, l’ombra della corruzione ha colpito i membri votanti della Fifa e alcune inchieste hanno svelato lo sfruttamento dei lavoratori migranti, utilizzati come “usa e getta” per costruire da zero una città dello sport tra Doha, Lusail e altri piccoli centri limitrofi. Otto stadi, naturalmente climatizzati per far fronte al caldo atroce del Paese arabo e incidere in modo tutt’altro che positivo sull’ambiente.

Il Fifagate del 2015 ha scoperchiato il vaso di pandora. Le squalifiche inflitte all’allora capo dell’organizzazione sovrana del calcio Joseph Blatter e del suo braccio destro Michel Platini, nonché una serie di arresti illustri, hanno evidenziato il sistema mafioso e corrotto celatosi dietro l’attribuzione del campionato del Mondo al Qatar. Un paese monarchico che vìola sistematicamente qualsiasi tipo di diritto umano, contrario all’inclusione della diversità, e troppo piccolo per sostenere un’impresa simile. Un pessimo spot per il calcio, che in quanto sport avrebbe l’obiettivo di educare sulla base di valori sani. Ma che, da parecchi anni ormai, l’unico culto che porta avanti è quello del denaro. In ogni caso la decisione fu presa dalla maggioranza (14) dei 22 membri del comitato di votazione Fifa, che per la prima volta scelse due destinazioni contemporaneamente. La Russia per il 2018 e il Qatar per il 2022. Per quest’ultimo torneo l’altra candidatura forte era degli Stati Uniti, molto più preparati a sostenere un impegno del genere. Almeno questo era l’intento di Blatter, ora bandito a vita dal calcio così come almeno altri 6 dei 22 votanti. Gli altri, invece, tra cause per tangenti e corruzione non hanno avuto vita migliore.

In un’intervista di poche settimane fa Blatter ha ammesso l’errore di assegnazione, svelando anche un retroscena eloquente: “Una settimana prima del Congresso della FIFA l’allora presidente della UEFA Michel Platini mi chiamò e mi disse che il nostro piano (di assegnare i Mondiali a Russia e Stati Uniti, n.d.r.) non avrebbe funzionato. Mi disse che l’allora presidente francese Nicolas Sarkozy, in contatto con il principe ereditario del Qatar, gli aveva chiesto di fare il possibile per assegnare il torneo al paese arabo. Sei mesi dopo, il Qatar acquistò aerei da caccia francesi per 14,6 miliardi di dollari”. Favori, soldi, ricatti. Un circolo vizioso che a quanto pare non ha colpito nessuna autorità qatariota, anche se la giustizia americana sostiene che il paese si sia garantito i Mondiali offrendo ad esempio partnership a lungo termine sulle forniture di energia, in particolare di gas, la fonte primaria della sua grande ricchezza. Solo il capo del comitato per la candidatura del Qatar fu accusato da testimoni di aver pagato 1 milione e mezzo ciascuno tre rappresentanti africani del Comitato esecutivo della FIFA, ma senza conseguenze concrete.

Che dire, poi, dei lavoratori migranti. Un’indagine del Guardian che risale al febbraio 2021 ha evidenziato la morte di 6.500 persone sfruttate nei cantieri di hotel e stadi. Probabilmente aumentati nel corso del tempo. Costretti a lavorare tutto il giorno sotto il sole cocente, l’afa che toglie il respiro tipica di quelle zone, specie in estate. Alcuni non ce l’hanno fatta, altri sono stati cacciati dal Paese in modo da non essere visti nello svolgimento del torneo. In tutto ciò, molti migranti venuti soprattutto dal Nepal, dal Bangladesh e dall’India hanno anche dovuto pagare una tassa di assunzione per lavorare in quelle pietose condizioni. “E’ una truffa. Qui ti succhiano il sangue”, ha dichiarato un africano che poi ha proseguito nella denuncia: “I miei amici hanno cercato di cambiare lavoro, ma la nostra azienda si rifiuta di lasciarli andare. Dobbiamo accettarlo. Il nostro capo fa quello che vuole”. Lì vige la “legge della Sharìa” che, tra le altre cose, prevede anche che il datore di lavoro possa sequestrare il passaporto del dipendente, costringendolo a rimanere. “Siamo caduti in una trappola e non possiamo uscirne”, ha dichiarato l’impiegato di un hotel.

Sulla questione inclusione e le relative polemiche con le Nazionali stendiamo un velo pietoso. La Fifa ha dichiarato di ammonire il capitano della squadra che avrebbe indossato la fascia con scritto “One Love”, e tutti si sono piegati per timore di essere squalificati. La stessa Fifa che il suo nuovo leader Gianni Infantino aveva difeso goffamente così: “Mi sento qatariota, africano, arabo, migrante, gay. L’Europa dovrebbe imparare dall’inclusione in Qatar”. Peccato che lì l’omosessualità sia un reato punibile fino a 5 anni di carcere. Magari la notizia deve ancora arrivargli. La verità è che in dodici anni non si è riusciti a boicottare un Mondiale macchiato di sangue, soldi e violenze. Il fallimento è di tutti.

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