Di Luca Borgogno. La notte tra il 17 e il 18 maggio del 2015 a Ladispoli sicuramente non verrà mai considerata una come le altre. Marco Vannini era un ragazzo di vent’anni che come tanti si avventurava nel mondo adulto,  coltivando quel suo personale sogno di entrare a far parte dell’Arma dei Carabinieri.  Marco era anche altro però , “il figlio che tutti vorrebbero avere” lo ha definito sua mamma Marina, un figlio profondamente innamorato della vita e della sua ragazza, Martina Ciontoli, con la quale aveva una relazione iniziata nel 2012. E siamo certi che mai avrebbe immaginato che la sua ultima notte potesse consumarsi proprio a casa di chi aveva rubato il suo cuore.

Torniamo a quella notte a Ladispoli, dove a casa Ciontoli oltre a Marco sono presenti Martina appunto, i suoi genitori Antonio Ciontoli e Maria Pezzillo e il fratello di Martina,  Federico, assieme alla sua ragazza Viola Giorgini. È importante fin da subito specificare la presenza di tutte queste persone e presto capiremo il perché. Sono circa le 23 quando parte uno sparo, un “fragore forte” verrà definito a più riprese dai testimoni. Il colpo partito è quello di una Beretta calibro 9 e ad essere colpito proprio Marco. Risulta difficile capire cosa accadde successivamente ma sta di fatto che una prima chiamata al 118 avvenne ben 40 minuti dopo lo sparo: al telefono Federico Ciontoli dichiarava che un ragazzo si era sentito male per via di uno scherzo e non respirava più. Tutto questo prima che la madre Maria interrompesse la telefonata poichè le veniva riferito che il ragazzo stava meglio. Passa un’altra mezz’ora e a quel punto è Antonio Ciontoli a richiamare i soccorsi ma questa volta la versione cambia: il ragazzo è scivolato in vasca e si è punto con un pettine a punta. Strazianti sono le grida di dolore che si sentono in sottofondo da parte di Marco, un colpo al cuore per chi ha potuto riascoltare le registrazioni di quella chiamata.  Solo alle 00:22 circa arriva l’autoambulanza a casa Ciontoli e fin da subito i sanitari stessi si rendono conto che la situazione è diversa da quella descritta al telefono. Nessuno però parla ancora del proiettile nel corpo di Marco che nel frattempo è agonizzante. Il foro del proiettile è talmente fine che i medici presenti non possono immaginare cosa sia realmente successo. Solo al PIT (Posto di Primo Intervento) di Ladispoli finalmente il Ciontoli dichiara l’accaduto ma quello che lascia sconcertati è ciò che riferiscee che possiamo riassumere all’incirca così: “Potrebbe però non dirlo a nessuno…sa sono un Maresciallo della Marina Militare distaccato ai Servizi Segreti…POTREI PERDERE IL MIO LAVORO PER QUESTO”. Viene difficile proseguire il racconto, il perché  di tutto quel teatrino di bugie su bugie messo in scena dall’intera famiglia. Il dovere di cronaca ci porta a dire ciò che accadde dopo. Il proiettile ormai da troppo tempo nel corpo di Marco aveva peggiorato seriamente le condizioni del ragazzo . Si cercò il tutto per tutto cercando di portarlo al Gemelli con l’elisoccorso ma era troppo tardi e alle 3:00 circa del 18 maggio Marco si spense.

 

Potremmo partire dicendo che nessuno ha mai saputo cosa sia realmente accaduto quella sera e non è questo di certo il nostro compito. Si parla di discussioni, di chi abbia sparato in quale stanza e in quale situazione. L’unico che in tal senso avrebbe potuto dirci la verità purtroppo non c’è più. Marco però è come se fosse stato ucciso sue volte, la prima da quel vile colpo d’arma da fuoco che Antonio Ciontoli ha più volte dichiarato fosse partito per errore mentre puliva la pistola. La seconda diventa ancora più inspiegabile: la mancata chiamata tempestiva dei soccorsi. La certezza non si avrà mai ma più e più medici hanno potuto constatare che se ci fosse stato un intervento tempestivo del 118 le possibilità di salvezza per Marco sarebbero state molte ma molte di più e forse oggi sarebbe qui con noi, inseguendo quel futuro che aveva sicuramente tanto in serbo per un ragazzo come lui. Eppure un gioco di protezione e di bugie dei Ciontoli, continuato peraltro in caserma come confermato dai video delle telecamere di sorveglianza, ha portato a vivere a mamma Marina e papà Valerio ciò che un genitore non dovrebbe mai minimamente immaginare di dover  vivere. Sono proprio i genitori di Marco ad avere lottato per anni nel processo che ha seguito la morte di Marco, dove alla fine dopo una lunga battaglia si è riuscito a ribaltare il primo grado di giudizio arrivando alla seguente condanna definitiva:  14 anni per Antonio Ciontoli, riconosciuto l’omicidio volontario con dolo eventuale, e 9 anni e 4 mesi per moglie e figli, riconosciuto il concorso anomalo in omicidio volontario. Unica assolta Viola Giorgini.

 

La storia di Marco è entrata nelle case e nel cuore di moltissimi italiani grazie ai numerosi servizi realizzati. A stento possiamo comprendere il dolore che ha vissuto quel ragazzo di soli vent’anni quella sera e così la sua famiglia. Anche se è stata fatta giustizia nessuno saprà mai la verità sulle reali circostanze che hanno portato a tutto ciò.  Nessuno capirà mai quanta disumanità ci possa essere nel mettere il proprio lavoro dinanzi alla vita di un ragazzo . Ma soprattutto niente e nessuno riporterà qui Marco. Un figlio e fratello di tutti noi. Perché a vent’anni non si può morire così. Non è giusto.