Di Luca De Lellis.Esiste una differenza abissale tra l’imprimere uno spirito battagliero e il coltivare una mentalità perdente. Ed è la stessa che porta la Roma a giocarsi la finale di Europa League a Budapest e che, nell’altra semifinale di questa competizione, spedisce la Juve a casa a un passo dal traguardo. Alla BayArena i giallorossi di Josè Mourinho riescono a stampare un preziosissimo 0-0, mentre a Siviglia i bianconeri si arrendono al gol di Lamela nei supplementari.

La mentalità perdente è subdola. Si alimenta giorno per giorno, situazione per situazione. La squadra di Massimiliano Allegri ha giocato una buonissima partita. Ma, nei momenti cruciali, gli unici che in Europa contano davvero, si è sciolta. La mentalità perdente è radicata nei minuti dopo lo 0-1 firmato Vlahovic, quando la Juve si è chiusa nella sua area di rigore illudendosi di chiuderla così, ma senza essere coerente con se stessa. Perché se è necessario condurre quel tipo di gara, come fatto dalla Roma in Germania, allora Chiesa non può permettersi di perdere quel sanguinoso pallone al limite della propria area che ha provocato il pareggio di Suso. Il Siviglia, araba fenice nelle notti di Europa League, ne ha approfittato. E nella bolgia del Sanchez-Pizjuan ha punito le troppe occasioni sprecate malamente da Di Maria&Co. Esattamente come il Villareal lo scorso anno, il Porto due anni fa, il Lione tre. Tutte società strutturalmente inferiori, che però hanno avuto la meglio su una Juve priva di identità ormai da parecchio tempo.

La Roma aveva forse un avversario più comodo. Ma ha giocato le due partite senza i suoi giocatori migliori, almeno dall’inizio. Dybala, Smalling e Wjinaldum: tutti acciaccati dai vari infortuni. Eppure la squadra si è piegata ma non si è mai spezzata. E questo non può che incrementare il valore dell’impresa dei ragazzi di Mourinho, davvero Special e infallibile nelle gare europee, meno nel corso di un cammino lungo come il campionato. Si sono guardati allo specchio, come un’unica entità. Non hanno mai mollato, seguendo alla lettera i dettami del suo capo popolo. La Roma ha tirato in porta con pericolosità due volte in 180 minuti: sul gol di Bove all’andata e sul colpo di testa di Ibanez sempre nella gara dell’Olimpico. Come prevedibile, al ritorno ha giocato una partita tutta in sofferenza, con 15 tiri a 1 per i tedeschi che hanno goduto del 72% di possesso palla. Ma dando la sensazione che il gol non lo avrebbero preso neanche giocando altre due ore. Qui è radicato lo spirito guerriero di Mourinho e dei suoi ragazzi. Che ora, a distanza di un anno, possono sognare la seconda perla europea consecutiva.

Anche la Fiorentina raggiunge una finale europea, quella di Conference, ribaltando l’1-2 casalingo dell’andata subito dal Basilea grazie alla doppietta di Nico Gonzalez e al gol decisivo di Barak oltre il 120’. I viola diventano così l’unica società italiana ad aver partecipato ad almeno una finale in tutte le coppe europee, e cercheranno contro il West Ham di mantenere il trofeo in Italia. Con la finale di Champions conquistata dall’Inter nell’euroderby, avremo tre società del nostro calcio nelle tre finali: un sogno impensabile a inizio anno. Sintomo di una ripresa in atto.

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