Di Victor Pontes. Articoli, inchieste, slides, 3 ore di lezione… questi sono alcune delle caratteristiche  del corso di Giornalismo Televisivo. Parlando così sembra un corso universitario di comunicazione come qualch’altro. Però dopo di quase 60 in presenza quello che si può capire è che questo corso è tutto tranne un ‘corso normale’.
Dal momento in cui si inizia, quando il professore del corso Marco Palma, inviato speciale della Mediaset, apre la sua oratoria già si capisce che quel corso sarà una deviazione di un tradizionalismo presente nelle università di tutto il mondo. Il professore chiede dagli studenti che la loro partecipazione è fondamentale, ma non solo partecipazione piccole e si argomenti portati da loro per discutere in lezione. E qui si svolge una delle cose più bella e più umana.
Gli studenti con le sue scelte personale, mettono in luce questione che colpiscono a tutti quanti: insecurezze, paure, traumi, amore, percorso di vità. Diventa una lezione che il professore è il maestro ma gli studenti diventano gli strumento della orchestra. Una musica de varie toni che i giovani suonano e cantano con una forza che viene di dentro della pancia. Una forza di espurgo, di esorcismo di se stesso. Lacrime, rabbie, felicità e una infinità di sentimenti si mischiano tra gli sguardi atenti a ognuno dei dibattiti.
Ma oltre questo, ovviamente il professionalismo tecnico del giornalismo è sviluppato al suo limite. Tanti articoli di sport, cronaca, spettacolo, cinema, politico e dall’estero sono stati scriti. Il telegiornale nella pagina di Instagram è aggiornato di modo giornalero. Inchieste sono registrati da tutti. Sicuro che tutti quelli che hanno seguito questo percorso si trovano di modo diverso oggi. Non solo di conoscenza teorica, ma si la pratica della vità. Hanno scoperto la vera umanità che abita dentro di loro. E per diventare un giornalista, prima deve essere giornalista di vità. E mai dire la parola “ormai”.

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