Di Mirko Vinci. “Ho imparato che c’è una grande differenza tra ciò che la gente pensa e ciò che io so essere vero”. La storia non è fatta solo di avvenimenti, ma anche di immagini. Quando in televisione si vede una macchina in corsa durante un corteo di ricevimento in preda al panico a causa degli spari e una giovane donna con un vestito rosa macchiato di sangue che si agita sul marito appena colpito a morte non possiamo far altro che pensare all’omicidio dell’ex presidente degli Stati Uniti J.F. Kennedy. Come in ogni storia c’è una parte a cui non si è soliti prestare molta attenzione, ma che andrebbe analizzata in maggior dettaglio a causa delle mille sfaccettature offerte dalla protagonista: l’ex first lady Jackie Kennedy. Una donna attraente, carismatica, icona nella moda, definita da molti anche snob, custodisce un lato del tutto inedito che è al centro della pellicola diretta da Pablo Larraìn, candidata a tre premi Oscar. “Le donne sono di due specie: quelle che vogliono il potere nel mondo, e quelle che vogliono il potere in amore”. Jackie, interpretata dal premio Oscar Natalie Portman, si inserisce proprio nel mezzo di questa distinzione, che molte volte è ambivalente nella nostra società: ogni giovane donna nella propria vita può desiderare di ottenere successo in ambito lavorativo, ma questo non può e non deve precluderle il diritto di sognare una grande storia d’amore e di essere rispettata al pari delle opportunità detenute dalla figura maschile. Molte volte la figura della donna viene posta come un delicato contorno, quasi come se fosse una cornice che rende il quadro generale più grazioso, facendoci dimenticare di quanto la determinazione o la caparbietà che può scaturire dal suo animo possa in alcune circostanze prendere le redini della situazione. Jackie ha rappresentato tutto ciò in un periodo molto particolare in cui le donne lottavano molto duramente per ottenere una maggiore equità all’interno della società e sarebbe impensabile non prendere come modello una ragazza che da semplice first lady è diventata una leader. Leader non vuol dire semplicemente prendere il comando o sedere nella Casa Bianca, ma vuol dire anche presentarsi come una madre che deve gestire un lutto di fronte alle telecamere di tutto il mondo tutelando i propri figli, vuol dire camminare in mezzo alla folla insieme a milioni di cittadini come una loro pari e vuol dire non lasciarsi intimorire da un mondo che si aspetta da te un comportamento marginale come a prima vista può sembrare quello di una first lady. L’umiltà di qualcuno che non ha giocato sul proprio cognome nella propria lotta di resilienza è un tassello di importanza epocale: “Io non sono più la first lady, chiamatemi Jackie”.

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